
Alla pensione ci pensa lo Stato! Ma allora a che servono i fondi pensione?
di Paolo Pellegrini, Vicedirettore Mefo
Le regole per andare in pensione sono state oggetto di continue riforme negli ultimi 25 anni. Ma nella Costituzione è scritto che alla pensione deve pensarci lo Stato. Se questo è vero, a cosa servono i fondi pensione? Perché non ne possiamo fare a meno?
L’art. 38, comma 2 della Costituzione afferma che “i lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria”.
Lo Stato è dunque responsabile di garantire le pensioni. Per ragioni di finanza pubblica ed equilibrio demografico, tuttavia, il sistema previdenziale obbligatorio italiano è stato interessato da una serie di riforme legislative che, negli ultimi 25 anni, ne hanno modificato i sistemi di calcolo delle prestazioni e i relativi requisiti di accesso. In particolare, con le riforme degli anni 90 e con la riforma Monti Fornero (art. 24 del dl n.201 del 2011), si è passati dal metodo di calcolo retributivo a quello contributivo.
Il metodo contributivo riguarda tutti coloro che hanno iniziato a lavorare dopo il 1° gennaio 1996. Coloro che hanno iniziato a lavorare prima, invece, hanno una parte della pensione calcolata con il metodo retributivo. Più precisamente, per coloro che al 31 dicembre 1995 avevano almeno 18 anni di contributi, la parte di pensione contributiva è quella relativa ai versamenti successivi al 1° gennaio 2012. Per chi aveva meno di 18 anni, invece, la parte contributiva è quella relativa ai versamenti successivi al 1° gennaio 1996.
Inizio lavoro | Anzianità al 31Più /12/1995 | Sistema di calcolo delle pensioni applicate sulle anzianità contributive maturate nei periodi: | |||
Fino al 31/12/1995 | Dal 1/1/1996 al 31/12/2011 | Dal 1/1/2012 in poi | |||
di 18 anni | Retributivo | Contributivo | |||
Entro la fine del 1995 | Meno di 18 anni | Retributivo | Contributivo | ||
Dal 1996 in poi |
Nessuna |
Contributivo |
Quali sono gli affetti del passaggio al contributivo?
La pensione retributiva, con 40 anni di contributi, garantiva un tasso di sostituzione di circa l’80% dell’ultimo reddito (cioè, ultimo reddito di 1000 euro, pensione di 800 euro).
Con il passaggio al contributivo, la pensione dipende da quanto si è effettivamente versato nel tempo, dall’andamento dell’economia italiana e dall’età al pensionamento. La pensione contributiva, infatti, comporta un accantonamento virtuale dei contributi versati, che si rivalutano con l’applicazione della media quinquennale del PIL, che vanno a formare un montante contributivo finale. Questo montante viene convertito in rendita applicando dei coefficienti di trasformazione che tengono conto della speranza di vita residua. Quindi a parità di contributi versati in tutta la vita lavorativa, un sessantasettenne avrà una pensione più alta di un sessantaduenne.
Il tasso di sostituzione della pensione contributiva è quindi molto soggettivo e, si stima, può essere molto più basso dell’80%.
Consapevole di questo, il legislatore degli anni 90 ha dettato per la prima volta una disciplina organica (d.lgs. 124/93, sostituito poi dal d.lgs. 252/05) per la nascita di fondi pensione rivolti a tutti i lavoratori, utili per integrare la pensione di base, attraverso un secondo pilastro pensionistico, a capitalizzazione individuale.
Possiamo affermare allora che il legislatore ha adempiuto al proprio obbligo costituzionale, consentendo a tutti i lavoratori di dotarsi di una seconda gamba pensionistica, il fondo pensione. I fondi pensione, in quanto forma di risparmio con finalità previdenziale, sono soggetti a particolari forme di controllo: per loro vi è una specifica autorità di vigilanza dedicata, la Covip.
Per incentivare l’adesione sono inoltre previsti vantaggi fiscali notevoli. Oltre alla prestazione pensionistica in rendita per integrare la pensione di base, sono poi ammesse possibilità di uscite anticipate (anticipazioni, riscatti), per garantire liquidità ai lavoratori che ne abbiano bisogno, nei casi indicati dalla legge come meritevoli di questa tutela.
Tornando alle riforme della previdenza di base, va poi detto che nel corso del tempo l’età di accesso alla pensione è via via cresciuta (vedi Appendice: principali requisiti di accesso alla pensione di base), con qualche frenata sperimentale (vedi Quota 100, in vigore fino al 2021 oppure l’Opzione donna). Se si lavora di più, la pensione di base aumenta e quindi c’è forse meno bisogno della seconda gamba pensionistica. Però la domanda che dobbiamo porci è questa: siamo sicuri di riuscire ad arrivare all’età della pensione con un lavoro? Se non ce la dovessimo fare, ad aiutarci ci sarà il fondo pensione, sempre che abbiamo aderito per tempo.
A cosa serve dunque il fondo pensione?
Sicuramente serve per integrare la pensione obbligatoria di base. Inoltre, se usciamo dal mercato del lavoro prima di aver maturato i requisiti di accesso alla pensione, allora il fondo pensione ci servirà per sostenere negli ultimi anni precedenti la pensione, con la rendita integrativa temporanea anticipata (RITA).
Appendice: principali requisiti di accesso alla pensione di base
Riforma Fornero
pensione vecchiaia (67 anni di età e 20 di contributi) e anticipata (41 anni e 10 mesi per donne e 42 anni e 10 mesi per uomini con finestre di accesso trimestrali per tutti).
Per il requisito anagrafico della pensione vecchiaia il prossimo eventuale adeguamento alle speranze di vita si avrà dal 2023; mentre per il requisito contributivo della pensione anticipata l’adeguamento è sospeso fino al 2026
Pensione anticipata per i post 96 possibilità di anticipo fino a 3 anni prima dell’età della pensione di vecchiaia con 20 anni di contributi e assegno 2,8 volte l’assegno sociale per chi non ha contributi prima del 1996
Legge bilancio 2017
Quota 41 (con finestre di accesso trimestrali; adeguamento sospeso fino al 2026
Anticipata per precoci (almeno 12 mesi di lavoro all’età di 19 anni) appartenenti a categorie di: disoccupati senza ammortizzatori sociali da almeno 3 mesi, caregivers, invalidi e gravosi o usuranti
Lavori usuranti (d.lgs 67/2001) possibilità di andare in pensione fino a un minimo di 61 anni e 7 mesi con 35 anni di contributi (e finestra da 12 a 18 mesi) a seconda della tipologia
DL 4/2019 convertito in legge n.26/2019
Quota 100 (62 anni di età con 38 di contributi) misura sperimentale 2019-2021
Opzione donna (35 anni di contributi e 58 di età per dipendenti (59 se autonome) entro il 31 dicembre 2019; finestre di accesso di 12 mesi per dipendenti e 18 per autonome.