
Il lavoro agroalimentare alla prova del Coronavirus
di Onofrio Rota,
Segretario Generale Fai Cisl
Gli addetti dell’agroalimentare hanno continuato a operare senza sosta, durante l’emergenza sanitaria, affrontando rischi e stress. Ora li considerano tutti degli eroi. Ma questo apprezzamento, rileva Rota, lo avrebbero gradito anche prima e vorrebbero vederlo tradotto in maggiore attenzione anche in futuro anzitutto nella contrattazione.
Paragonare la crisi indotta dall’emergenza Covid-19 a una guerra, come fatto da più parti, non aiuta a comprendere. Le guerre sono peggiori. E sotto tanti aspetti. Ma è indubbio che l’impatto è – e sarà – pesantissimo. Un impatto diversificato, che risparmierà alcune poche filiere e rischia di distruggerne tante altre. Come è noto, le lavoratrici e i lavoratori agricoli e dell’industria alimentare hanno continuato a operare senza sosta, spesso affrontando anche rischi, stress sul lavoro e in famiglia, turni intensificati. Ora li considerano tutti degli eroi, si fanno spot sui quotidiani e in tv per ringraziarli, tante imprese hanno messo a disposizione bonus e premi. La verità è che tutto questo apprezzamento lo avrebbero gradito anche prima, e magari vorrebbero vederlo tradotto in maggiore attenzione da parte della politica anche al di fuori delle emergenze.
Va detto che il sistema agroalimentare italiano, pur tra differenze e criticità, sta dimostrando di reggere l’urto. Il problema, è che sono saltati tanti schemi. Pensiamo al lavoro agricolo, alle prese con la mancanza di manodopera, dopo il ritorno all’estero di tanti braccianti stranieri ora impossibilitati a rientrare in Italia, ma anche con tanti altri problemi ambientali, come siccità, cimice asiatica, xylella, gelate e nevicate primaverili. Sono tante le misure da intraprendere per rispondere alle nuove esigenze. Però non è impossibile trasformare le criticità in opportunità: pensiamo, ad esempio, alla possibilità di sfruttare tante giacenze di alcolici per convertirle in prodotti igienizzanti e metterle a disposizione della prevenzione del Covid-19.
Guai dunque a farsi prendere dal panico. Dopo queste prime settimane frenetiche, è giunto il tempo di cominciare a pensare all’uscita dalla crisi e alla ricostruzione del Paese. Non sappiamo per quanto tempo, ma è certo che dovremo imparare a convivere con il rischio Coronavirus. Per questo la priorità assoluta rimane quella della sicurezza nei luoghi di lavoro: un obiettivo che abbiamo posto come irrinunciabile fin dall’inizio dell’emergenza, annunciando la nostra campagna “Rischio Zero”, e che ora Cgil Cisl e Uil hanno rilanciato in occasione degli eventi del Primo Maggio.
L’industria alimentare ha dimostrato, dopo le difficoltà dei primi giorni, di saper conciliare sicurezza e produttività, salute e lavoro: sarà necessario, per i mesi e gli anni futuri, standardizzare modelli di organizzazione del lavoro che nella ripartenza diffondano questo equilibrio. Più problematico sembra invece il lavoro agricolo, almeno se pensiamo alle fasce più deboli, ai lavoratori irregolari, ai fenomeni di caporalato.
Il problema della manodopera, anche da questo punto di vista, non va sottovalutato. Come denunciamo da tempo, l’incrocio tra domanda e offerta di lavoro in agricoltura deve essere rafforzato, reso più trasparente, efficiente, partecipato. Per questo, aver riaperto il dibattito su un’ulteriore estensione dei voucher non ha reso un gran servizio al Paese. Ancora oggi ci ritroviamo politici che non fanno altro che ripetere che “senza voucher per far lavorare studenti e pensionati gli italiani moriranno di fame”, non sapendo che i voucher in agricoltura non sono mai stati aboliti del tutto e che sono tuttora validi proprio per studenti, pensionati e disoccupati.
Le risposte concrete alla crisi attuale vanno costruite in altro modo. Come Fai Cisl abbiamo proposto un tavolo interistituzionale urgente proprio per confrontarci sulle diverse soluzioni avanzate dalle parti sociali e per evitare scorciatoie che rischiano di mortificare il lavoro e la contrattazione. Ci siamo impegnati ad avanzare alcune proposte di partenza: la valorizzazione degli enti bilaterali, come indicato dalla stessa Legge 199/2016 contro il caporalato; il coinvolgimento delle agenzie interinali, purché gestito dagli enti bilaterali con convenzioni ad hoc e nel pieno rispetto del CCNL; l’estensione dei permessi di soggiorno; la regolarizzazione degli stranieri irregolarmente presenti sul territorio; la semplificazione delle norme per far lavorare richiedenti asilo e rifugiati; la certificazione di “corridoi verdi” in Europa per agevolare la mobilità dei lavoratori stagionali.
Ma è soprattutto sul primo punto che occorre agire nel quadro di una ripartenza del Paese che metta al centro il settore primario. Essendo costituiti dai rappresentanti dei lavoratori e delle imprese, gli enti bilaterali territoriali hanno già in sé il potenziale per rispondere sia alle esigenze del mercato del lavoro che a quelle della sicurezza, come dimostra, ad esempio, il progetto pilota avviato a Verona con Agri.Bi. e Veneto Lavoro. Infatti, mentre i servizi SPSAL per la prevenzione e la sicurezza negli ambienti di lavoro sembrano impossibilitati a verificare in tutte le imprese il rispetto del protocollo per la sicurezza siglato il 14 marzo, gli enti bilaterali possono incaricare figure preposte a proprie spese, esattamente come concordato nel progetto veneto. Un motivo in più per adottare le buone pratiche in tutto il territorio nazionale.
Perché è questo che la crisi attuale deve spingerci a fare: trovare soluzioni innovative per ridare dignità al lavoro agricolo e alla condizione dei lavoratori, attrarre nuove forze di lavoro, facendo leva sul rispetto delle regole, sul lavoro ben retribuito, ben tutelato e, soprattutto, qualificato. Nella convinzione che tante risposte positive, alla crisi attuale, siano già radicate nel dna produttivo e culturale del Made in Italy agroalimentare.