
Per gli imprenditori agricoli servono operai specializzati, non braccianti
Roma (27 maggio 2020) – Manodopera sì, ma specializzata. Per gli imprenditori agricoli che investono in macchinari ad alta tecnologia per velocizzare la produzione e per rendere il lavoro meno pesante ai loro dipendenti, non è più tempo per “importare” semplici braccianti. Anche gli italiani, soprattutto dopo la pandemia, hanno riscoperto l’agricoltura e il lavoro dei campi ed in tanti stanno provvedendo a specializzarsi nel settore.
“C’è bisogno di manodopera in agricoltura. Questo lavoro – dichiara Marco Nicastro, imprenditore agricolo e presidente di O.P.Mediterraneo – viene troppo spesso visto come denigrante, ma non lo è”. Da sempre impegnato nella filiera del pomodoro, Nicastro ci racconta come in realtà consolidate, in aziende agricole ben organizzate, l’ombra del caporalato non c’è e l’idea del lavoro come un lavoro pesante e di semplice manovalanza non esiste. “Non è chiara la quantità di meccanizzazione che c’è oggi – continua il presidente della Cooperativa Agricola – i miei dipendenti siedono su un trattore e non svolgono un lavoro con la schiena piegata per piantare o raccogliere i pomodori come si pensa”.
Più che di braccianti, pertanto, occorre parlare di operai agricoli. La differenza è sottile, ma c’è e distingue in maniera netta i due lavori. Lavorare nei campi, soprattutto nel settore del pomodoro e del grano (ma non solo), significa essere operai agricoli specializzati. “Oggi – prosegue Nicastro – lavorare in un’azienda agricola significa avere professionalità, avere titoli di studio, avere specializzazioni, patenti per le macchine agricole, oltre ad avere patenti specifiche per somministrare fitofarmaci ed agrofarmaci”. È la meccanizzazione che fa la differenza. Pertanto è di specialisti che si ha bisogno in campagna. “Ho visto parecchie aziende agricole – conclude il presidente di O.P.Mediterraneo – soprattutto in Emilia Romagna, in cui sia uomini che donne di diversa estrazione sociale hanno trovato lavoro. Erano in cassa integrazione in deroga, non l’hanno ricevuta e sono andati a lavorare nei campi. Stanno dicendo che amano quel lavoro, credevano fosse pesante e invece non lo è. C’è molta meccanizzazione quindi chi prima faceva l’autista di bus, ad esempio, oggi si ritrova a guidare un trattore dove al suo interno c’è aria condizionata, impianti satellitari e musica”.
Per le organizzazioni agricole i problemi principali sono due: rapidità degli interventi e professionalità. Giorgio Mercuri, presidente di Alleanza delle cooperative agroalimentari, è convinto infatti che “gli effetti della regolarizzazione si vedranno più avanti, ma le imprese hanno bisogno di risposte che abbiano ricadute immediate. La frutta sugli alberi non può aspettare e la situazione nei campi resta problematica: se non arriva manodopera, sono a rischio tutti i prossimi raccolti ortofrutticoli”.
La regolarizzazione è un “atto di civiltà” – per Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura – ma non sarà significativo rispetto a quello che si può ottenere utilizzando i corridoi verdi che restano la priorità. Va in questa direzione il primo volo charter atterrato a Pescara, organizzato da Confagricoltura Abruzzo, con l’arrivo di 124 operai agricoli del Marocco. Altri voli, con altrettanti lavoratori, sono programmati per i prossimi giorni, sempre con partenza da Casablanca e destinati alle campagne del Nord Italia. Atterreranno inoltre in questi giorni a Milano Malpensa altri due voli organizzati dal Governo italiano per i quali Confagricoltura ha ottenuto la possibilità di far rientrare gli operai agricoli. A Roma sono infine giunti circa un centinaio di lavoratori indiani specializzati in agricoltura, destinati alle campagne della Pianura Padana. “Un risultato che è il frutto del lavoro diplomatico di Confagricoltura, in particolare con le Ambasciate in Marocco e in India – conclude Giansanti – che ha coinvolto anche la Farnesina e l’ICE”. La Confederazione a marzo aveva chiesto al Governo l’attivazione dei corridoi verdi per permettere il rientro degli operai extracomunitari che da anni hanno un contratto di lavoro con le aziende italiane, in modo da far fronte alle esigenze di raccolta nei campi. Si tratta di lavoratori che erano rientrati nei mesi invernali nei rispettivi Paesi di origine, per riprendere a marzo la nuova stagione agricola. Ma l’emergenza Coronavirus li aveva fermati.
Alessia Capeccioni