
Dalle radici delle leguminose un aiuto all’agricoltura
Roma (23 giugno 2020) – Un nuovo meccanismo di controllo per il funzionamento del nodulo azoto-fissatore, l’organo radicale che nelle colture leguminose permette la conversione dell’azoto atmosferico in nutrienti utilizzabili dalle piante, rendendo i terreni agricoli più fertili. E’ quello che emerge da uno studio dei ricercatori dell’Istituto bioscienze e biorisorse del Consiglio nazionale delle ricerche di Napoli (Cnr-Ibbr), coordinato da Maurizio Chiurazzi.
“Le colture di piante leguminose – afferma Chiurazzi – rappresentano uno strumento fondamentale per un approccio sostenibile in agricoltura, grazie alla loro capacità di arricchire in azoto i suoli in cui sono coltivati”.
Il nodulo azoto-fissatore si forma attraverso l’interazione delle colture leguminose con il rizobio, un batterio che vive nei terreni ed in grado di stabilire una simbiosi con le leguminose. Il rizobio, insediandosi nei noduli radicali della pianta, permette la formazione di questo nuovo organo che è in grado di ridurre l’azoto atmosferico in nutrienti essenziali per la pianta.
Il meccanismo diventa però difficoltoso nel momento in cui si presentano condizioni di stress legate all’eccesso d’acqua, che non permettono di soddisfare il fabbisogno richiesto per l’attività di fissazione dell’azoto atmosferico nei noduli delle colture leguminose a causa della scarsità di ossigeno.
“L’eccessiva fertilizzazione del terreno attraverso la concimazione – spiega Maurizio Chiurazzi – inquina l’ambiente poiché soltanto una parte dell’azoto contenuto nei concimi viene assimilato dalle piante, mentre il resto rimane nel suolo e i microorganismi presenti nel terreno lo trasformano in prodotti che sono fonte di gravi contaminazioni di falde acquifere e atmosfera. L’approccio di fertilizzazione biologica dei suoli legato all’uso di coltivazioni di leguminose è però ancora largamente sottoutilizzato in agricoltura”.
Su questa peculiarità delle piante leguminose si basa, per esempio, il sovescio. L’antichissima pratica agricola utilizzata dai romani già nel primo secolo a.C. sfrutta la coltivazione di queste piante per l’arricchimento di azoto nel terreno grazie alle loro radici. La potenzialità di questa azione come fertilizzante biologico ha assunto un’importanza ancora maggiore nel periodo successivo alla “green revolution”, quando le coltivazioni intensive in agricoltura sono state associate ad un uso massivo e non controllato dei fertilizzanti azotati per poter ottenere un aumento delle rese.
“Al momento le colture di leguminose, come nel caso della soia, sono per lo più convogliate verso la produzione di mangimi per gli allevamenti animali, ma questi rappresentano a loro volta un’importantissima fonte di contaminazione ambientale. La fertilizzazione biologica – conclude il ricercatore – andrebbe dunque associata ad una strategia globale mirata a incentivare la biodiversità delle colture di leguminose e il loro utilizzo nella dieta umana”.
MAC