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Cia, il lockdown consolida Made in Italy

Roma (6 luglio 2020) – Il settore agroalimentare continua il suo ruolo strategico nonostante l’emergenza sanitaria: i consumi di cibo e bevande sono stati e continuano a essere tra i pochi che hanno segnato delle variazioni positive, dimostrandosi anticiclici rispetto alle altre filiere. A confermarlo è Cia-Agricoltori Italiani con un Report ad hoc elaborato da Nomisma su “Il ruolo economico e produttivo dell’agroalimentare italiano in tempo di Covid-19 e scenari di lungo periodo”, presentato in occasione del primo webinar post lockdown, dedicato al progetto “Il Paese che Vogliamo”. Mentre sono andate a picco le vendite dei beni non alimentari (-22% in valore nel primo quadrimestre sullo stesso periodo del 2019 e addirittura -52% solo ad aprile), quelle di cibo hanno registrato un aumento, rispettivamente, del +5% nei primi quattro mesi del 2019 e del +6% ad aprile.

In particolare, nel periodo più caldo dell’emergenza, ovvero tra il 17 febbraio e il 24 maggio, le vendite alimentari nella Grande distribuzione sono cresciute del 13%, trainate da prodotti base della filiera agroalimentare Made in Italy: gli acquisti di farine, lieviti, latte e uova, durante la quarantena, si sono impennate del 42% rispetto allo stesso periodo del 2019 e dopo che lo scorso anno segnavano un -0,8%. La pasta (+17%), l’ortofrutta (+15%) e il vino (+11%) sono gli altri prodotti che hanno guadagnato una crescita annua importante. Lo studio racconta i valori alla base delle scelte di acquisto di food&beverage, individuano i fattori influenti e tracciano possibili scenari. Ne emerge un cittadino che esce dalla crisi pandemica più attento al Made in Italy (26%), alla tutela dell’ambiente (22%), alle tipicità del territorio (16%), alla salute (15%) e alla convenienza (14%). Guardando in prospettiva, da qui ai prossimi 30 anni, una popolazione italiana più vecchia porterà a una diminuzione dei consumi vicina al 10%. Per sopravvivere al calo della domanda interna, servirà competenza nell’export e nuovi assetti aziendali per produzioni realmente più orientate al consumatore.

Il lockdown e, quindi, il blocco degli spostamenti in Italia e verso l’esterno, insieme allo stop delle attività non essenziali, decisi dal governo per contenere la diffusione del virus, ha consolidato alcuni valori alla base degli acquisti di prodotti alimentari italiani che possono garantire e rassicurare il consumatore per via della loro sicurezza e qualità. Allo stesso tempo, la riscoperta dei negozi di vicinato e la volontà di supportare la produzione nazionale e locale, ha portato le famiglie a concentrare l’attenzione su prodotti Made in Italy e sull’acquisto nei mercati agricoli. Il 22% ha incrementato gli acquisti in queste due categorie. Una parte dei consumatori ha basato le scelte dei prodotti alimentari da mettere a tavola, proprio sul principio della sostenibilità, preferendo cibi prodotti con metodi a basso impatto ambientale (20% degli italiani). Il 49%, invece, ha scelto i prodotti da mettere nel carrello sulla base dei benefici che apportano al benessere e alla salute.

Le vendite online hanno visto una crescita senza precedenti: +120% da gennaio al 21 giugno e +160% solo nel post lockdown (dal 4 maggio al 21 giugno). Ma il boom dell’e-commerce non è riuscito a compensare la chiusura dell’Horeca (hotel, ristoranti, caffè). Lo stop imposto al “fuori casa” (bar, ristoranti, alberghi e agriturismi) ha avuto ricadute negative anche sull’agroalimentare nazionale con perdite di almeno 2 miliardi. Sempre con il lockdown, la ricerca della territorialità e dei prodotti locali è diventata centrale nella spesa degli italiani: per circa 6 consumatori su 10, infatti, è importante che i prodotti alimentari da mettere nel carrello siano a km zero. Per il 62% è altrettanto cruciale che un prodotto alimentare sia “tipico/legato a una specifica zona” e per il 58% che sia “fatto da piccole aziende del territorio”. Durante la quarantena, ha acquistato valore per il 47% dei consumatori fare la spesa “solidale (legata a iniziative benefiche) e per il 36% poter usufruire della “consegna a domicilio”. In un contesto, infine, in cui l’e-commerce dei prodotti alimentari è destinato a crescere (il 95% degli italiani crede che l’acquisto web di prodotti alimentari aumenterà nei prossimi anni), il canale online avrà un ruolo centrale nello sviluppo del mercato tipico/locale: il 92% degli italiani crede che questa sia, infatti, la modalità più utile per poter acquistare i prodotti alimentari dei piccoli produttori, specie quando si parla di piccole realtà situate in zone interne e difficili da raggiungere, come le aree appenniniche.

Tenere conto delle indicazioni emerse, delle attuali modalità e quantità di consumi degli italiani per principale categoria di prodotti e fascia di età è importante per identificare i possibili scenari di evoluzione dei consumi alimentari. Tali scenari mettono in luce come, soprattutto per alcuni beni di consumo, nei prossimi trent’anni una popolazione italiana più vecchia consumerà volumi di prodotti alimentari inferiori a livello complessivo. Ad esempio, nello scenario peggiore, per latte, vino, carni e salumi, si prospetta una diminuzione dei consumi – legata all’invecchiamento – prossima al 10%. Comprendere come fenomeni di questo tipo, possano influenzare la domanda e, quindi, il business delle imprese agricole, è fondamentale per prepararsi e anticipare i cambiamenti. Come già avvenuto in passato, a fronte di un calo della domanda interna, la sopravvivenza delle imprese passa dalla capacità di rivolgersi al mercato estero, di modificare l’assetto aziendale orientandosi a colture più vicine al consumatore, di sviluppare nicchie di prodotto in grado di incontrare la richiesta di specifici segmenti di consumo.

Il Coronavirus – tra le altre cos- ha riportato l’attenzione sulla rilevanza strategica dell’agroalimentare per il nostro Paese, ha accelerato la diffusione dell’utilizzo del digitale e ha consolidato trend di consumo orientati a Made in Italy, local, sostenibilità e salute. Questi cambiamenti si innestano su un’evoluzione di lungo periodo (cambiamenti demografici, socioeconomici, climatici, etc) che modificheranno gli assetti produttivi della nostra agricoltura e che vanno monitorati con attenzione per comprendere e anticipare i cambiamenti. Tali modifiche non condurranno, infatti, a un unico «modello» di agricoltura italiana, ma per assicurare una sostenibilità economica anche alle imprese situate in aree marginali, occorrono interventi infrastrutturali (in particolare sul digitale) e organizzativi (reti di imprese e di sistema) in grado di cogliere opportunità di mercato che altrimenti andrebbero perse (si pensi a export o turismo) e che possono essere individuate anche in uno scenario di “crisi” e in continua evoluzione come quello attuale. Non si tratta, infatti, di supportare imprese “marginali”, ma di garantire la tenuta e la salvaguardia di interi territori del Paese, attraverso l’unica attività, quella agricola, che ancora può farlo, garantendo a monte pari condizioni competitive.

Alessia Capeccioni