
Agricoltura settore strategico nel post Covid
di Giovanni Mininni
Segretario generale Flai Cgil
Non c’è alcun dubbio: le nostre vite, i rapporti interpersonali, le modalità di produrre beni e di usufruire dei servizi, anche quelli essenziali, hanno subito un vero e proprio stravolgimento a seguito della diffusione del Covid 19. Se da un punto di vista sociologico forse si fa fatica a trovare nel passato un precedente che possa fornire un termine di paragone rispetto a quello che stiamo affrontando, diversi economisti e commentatori hanno indicato la ricostruzione post bellica ed il Piano Marshall come riferimento per provare a descrivere lo scenario economico e sociale che si è determinato negli ultimi mesi e le soluzioni poderose da mettere in campo. Tuttavia l’Italia di oggi non è il Paese uscito sconfitto dalla seconda guerra mondiale e gli oltre settant’anni trascorsi dall’approvazione del Piano Marshall hanno radicalmente modificato la fisionomia dell’economia nazionale e non solo.
Per parlare di casa nostra, crediamo infatti, certamente in controtendenza, che l’emergenza sia stata una sorta di “volano” per l’agroalimentare, forse mai come ora percepito nella sua centralità: la consapevolezza del valore strategico di un settore essenziale e forte, capace di nutrire quotidianamente 470 milioni di europei, è l’effetto positivo dell’emergenza. Ma se, finalmente, l’agricoltura è ora vista come settore strategico, l’effetto positivo deve tradursi nella messa in opera degli strumenti necessari a scardinarne gli elementi distorsivi. La pandemia ha amplificato non solo la visibilità del settore ma anche i suoi problemi strutturali, primo fra tutti quello della regolarità del lavoro in agricoltura e della gestione del mercato del lavoro. Mai come in questi mesi le cronache ed i tg hanno affrontato il tema del lavoro agricolo, della sua necessità ma anche delle sue storture. La presenza di manodopera italiana e straniera irregolare nelle nostre campagne è drammaticamente emersa quando i campi hanno visto marcire le loro produzioni, mentre c’erano lavoratori che avrebbero potuto raccogliere ma non potevano muoversi, o quando i caporali hanno continuato in piena emergenza a riempire i furgoncini di lavoratori privi di dispositivi di protezione. Frutta e verdura non sono mai mancate, ma è cresciuta contemporaneamente nell’opinione pubblica e nella politica la consapevolezza di quale fosse il prezzo umano di quei prodotti.
Ora esiste un quadro normativo chiaro e ben definito, che ha affiancato alla Rete del lavoro agricolo di qualità, individuata con la Legge 199 del 2016, la norma sull’emersione dei rapporti di lavoro inserita nel Decreto rilancio, che la Flai ha fortemente voluto.
Occorre che questi strumenti trovino attuazione: incontro pubblico tra domanda ed offerta di lavoro, accoglienza ed alloggi, permessi di soggiorno e contratti regolari.
Crediamo fermamente che questi siano gli assetti su cui costruire il futuro agricolo del nostro Paese, perché nel 2020 non è tollerabile parlare di agricoltura 4.0 e continuare a vedere le baraccopoli di Borgo Mezzanone o leggere del pestaggio di Terracina.
L’agricoltura deve essere basata sul prodotto di qualità che può essere ottenuto solo attraverso il lavoro di qualità, inquadrato nel Contratto collettivo e nelle contrattazione provinciale.
La platea dei consumatori è attenta, richiede prodotti salubri che abbiano anche un carattere di eticità, si è consolidato un consumo sempre più consapevole e responsabile, non solo in Italia ma a livello europeo, e crediamo che sia importante valorizzare le nostre produzioni e le tante imprese sane che operano attraverso filiere etiche e trasparenti.
Il pacchetto di aiuti previsto nel Decreto rilancio a favore dell’agricoltura ci sembra un valido strumento per sostenere l’economia del settore primario. Occorre ora far ripartire anche le esportazioni, ferme da mesi, affinchè alcuni settori particolarmente colpiti come quello florovivaistico possano rimettersi in moto. Auspichiamo che, da questo punto di vista, l’Europa agisca in maniera efficace e che i prodotti italiani recuperino quella importante fetta di mercato rappresentata dai Paesi comunitari e non. Accanto ai consumi interni, infatti, l’export rappresenta una parte consistente del fatturato nell’agroalimentare italiano e ridare slancio a questo segmento è senza dubbio un altro fondamentale tassello nella ripresa dell’economia non solo del settore, ma dell’intero nostro Paese.