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Anche il sistema previdenziale può diventare un volàno per la crescita

Se il sistema previdenziale, basato su una parte obbligatoria a ripartizione ed una volontaria a capitalizzazione, può rappresentare un’effettiva mitigazione alle situazioni di shock finanziario o geopolitico, vuol dire che lo sviluppo della previdenza complementare diventa un elemento fondamentale per la sostenibilità del sistema. 

di Paolo Pellegrini, Vice Direttore Mefop

 Se le disgrazie non vengono mai sole, il biennio 2020/2022 sarà annoverato tra i simboli più rappresentativi di questo proverbio popolare. Eppure, nonostante l’immediata sensazione di smarrimento ed impreparazione provata di fronte ad una pandemia globale, lo sconcerto e l’incredulità per una guerra geograficamente europea, bisogna considerare che si tratta di eventi tristemente noti alla storia dell’umanità. Gli operatori del settore previdenziale si sono chiesti quali saranno gli effetti sul sistema, sugli investimenti, sui rendimenti e sulle pensioni in generale.

Una prima risposta non può che arrivare dall’analisi dei dati relativi al 2020. Dopo l’iniziale crisi con la più severa diminuzione del Pil italiano dalla Seconda guerra mondiale (-8,9%, Banca d’Italia), le misure intraprese a livello europeo, gli aiuti alle imprese e alle famiglie, le politiche di bilancio espansive consentivano di prevedere una rapida ripresa completa del Pil ai livelli prepandemici. Anche i mercati finanziari, dopo il rapido deterioramento osservato nella fase iniziale della pandemia, sono diventati progressivamente più distesi.

Anche il sistema della previdenza complementare e della casse di previdenza ha retto. La Covip, nella relazione annuale per il 2021, conclude sottolineando il ruolo de “le iniziative di sostegno e di rilancio messe in atto da governi e banche centrali in tutto il mondo. Ne hanno beneficiato anche i rendimenti dei fondi pensione. Al netto dei costi di gestione e della fiscalità, i fondi negoziali e i fondi aperti hanno guadagnato in media, rispettivamente, il 3,1 e il 2,9 per cento; per i PIP “nuovi” di ramo III, il risultato è stato lievemente negativo, pari a -0,2 per cento. Per le gestioni separate di ramo I, che contabilizzano le attività a costo storico e non a valori di mercato e i cui rendimenti dipendono in larga parte dalle cedole incassate sui titoli detenuti, il risultato è stato pari all’1,4 per cento. Nello stesso periodo il TFR si è rivalutato, al netto delle tasse, dell’1,2 per cento”.

Per quanto concerne le casse di previdenza la stessa Covip, nel Quadro di sintesi per il 2020 rileva che “le risorse complessive delle Casse di previdenza, a valore di mercato, sono aumentate di 4,7 miliardi rispetto al 2019 (+5%), raggiungendo i 100,7 miliardi di euro. Il flusso dei contributi incassati, invece, è diminuito di oltre 400 milioni mentre sono aumentate di quasi un miliardo le prestazioni erogate, attestandosi sugli 8,3 miliardi. Tale contrazione delle entrate e parallela crescita delle uscite è riconducibile alle conseguenze occupazionali e reddituali della pandemia, e nondimeno alle misure straordinarie varate dalle diverse casse a sostegno dei propri iscritti”.

Ma, si diceva, dopo la pandemia è arrivata la guerra che, oltre ad essere innanzitutto uno scempio di orrori e morte, reca con sé una serie di conseguenze disastrose con effetti sull’economia mondiale. La stessa Banca d’Italia, nel Bollettino statistico n. 2 del 2022, sottolinea che mentre alla fine dello scorso anno la crescita dell’economia italiana aveva ripreso slancio, nel primo trimestre del 2022 il PIL sarebbe diminuito, risentendo del rialzo dei contagi a fine anno ma anche e soprattutto dell’aumento dei prezzi dell’energia e delle difficoltà di approvvigionamento della stessa che la guerra della Russia contro l’Ucraina sta determinando.

Nel mondo della previdenza, soprattutto complementare, ci si è affrettati a ribadire e a dimostrare “calma”.

Quello che bisogna tenere a mente e che può essere considerata una regola aurea è che l’investimento nella previdenza è un investimento a lungo, forse lunghissimo termine. I periodi di forte turbolenza dei mercati finanziari che si sono già affrontati in passato (nel 2001, nel 2008, nel 2011) insegnano anche che gli stessi si sono anche brillantemente superati. Per quanto dalla guerra potranno arrivare nuovi squilibri – nei rapporti geopolitici mondiali, alimentari, per l’accesso alle fonti di energia ed alle materie prime (terre rare ed altro) – gli impatti potranno essere riassorbiti.

Questo però non vuol dire che vada tutto bene. Alcuni strascichi ci saranno sicuramente, soprattutto per il I pilastro, dove la futura pensione sarà influenzata sicuramente da questi anni di mancata crescita. Come noto, infatti, il montante della pensione contributiva si rivaluta con la media quinquennale del Pil e quindi la mancata rivalutazione si rifletterà sull’importo della pensione. A ben vedere, però, pandemia e guerra non sono che ulteriori colpi a una situazione di bassa crescita che si trascina da almeno 20 anni. Denatalità, retribuzioni a crescita bassa, precarietà occupazionale, assenza di scambio di sinergie intergenerazionali anche in termini di investimento sono i veri punti da affrontare. Potremmo definirli oramai come pezzi di crisi abituali. Si conoscono ma stanno lì.

Ma può il sistema previdenziale rappresentare l’opportunità di essere esso stesso lo strumento di uscita dalla crisi abituale?

Sicuramente la situazione richiede un grande impegno pubblico e con le risorse del PNRR si dovrebbe ambire proprio a questo. Ma occorre che ci sia una sinergia anche degli investitori privati, soprattutto quelli previdenziali. Se il sistema previdenziale, basato su una parte obbligatoria a ripartizione ed una volontaria a capitalizzazione, può rappresentare un’effettiva mitigazione alle situazioni di shock finanziario o geopolitico, vuol dire che l’accesso al secondo pilastro diventa un elemento fondamentale per la sostenibilità del sistema. Eppure, il tasso di adesione resta ancora troppo basso.

Anche gli investimenti potrebbero giocare un ruolo fondamentale per favorire quello scambio di sinergie intergenerazionali di cui si diceva. Non basta infatti prevedere una semplice pensione in aggiunta che consenta di mantenere redditi adeguati anche in età anziana. È ormai giusto considerare anche l’aumento dei bisogni immediati di un anziano in buona salute ma anche soprattutto il fabbisogno di cura a lungo termine legato ad un’aspettativa di vita che aumenta proporzionalmente alla non autosufficienza. Accanto agli investimenti in economia reale (agricoltura, imprese, infrastrutture) un ruolo importante può giocare l’investimento in asset legati alla silver economy (r.s.a, medicina preventiva, assistenza sanitaria avanzata, tecnologia applicata alla disabilità), che consentirebbe un ritorno non solo in termini di rendimenti finanziari ma anche una redistribuzione di risorse tra generazioni, creando sul territorio occasioni di lavoro non delocalizzabile. Questo anche e soprattutto per dare luogo a quel sistema di welfare integrato che mette insieme la previdenza, l’assistenza, la cura e la sanità e che potrebbe conciliare, almeno in parte, i risparmi dei giovani con le esigenze dei più anziani.