
Ambiente, agroalimentare e cultura asset strategici per il Paese
I lavoratori agroalimentari e ambientali rappresentano il nodo che unisce la transizione ecologica con la valorizzazione del patrimonio artistico e paesaggistico, perciò occorre dare il giusto riconoscimento alle nostre “tute verdi”
di Onofrio Rota, Segretario generale Fai Cisl
Il tempo che stiamo vivendo è straordinario, e in quanto tale richiede a tutti noi un impegno fuori dall’ordinario. Prima la pandemia, poi la crisi internazionale indotta dall’aggressione militare russa contro il popolo ucraino, hanno fatto emergere in maniera ancora più netta il bisogno di consolidare il settore agroalimentare, asset strategico del Paese in termini di ricchezza prodotta ma anche di sicurezza alimentare e coesione sociale. Tuttavia, per il comparto esistono ancora ampi margini di crescita e sviluppo anche in termini di attrazione turistica, industria culturale e transizione ecologica. Sul primo versante, parliamo della caratteristica multifunzionalità che attribuisce al settore primario la capacità di creare un indotto formidabile in quanto leva del turismo enogastronomico, della valorizzazione del paesaggio e del patrimonio artistico culturale, dell’economia della montagna e delle aree interne. Sul secondo aspetto, invece, occorre aprire gli occhi sulle lavoratrici e i lavoratori agricoli, gli operai forestali, gli addetti dei consorzi di bonifica, come primi attori della tutela ambientale. Sono quelle che dovremmo chiamare con orgoglio le “tute verdi”, lavoratori alle prese con la sfida quotidiana della sostenibilità ambientale.
Perché davanti al tema della sostenibilità è giusto discutere di energia, di rivoluzione digitale, o automotive, ma la transizione ecologica è anche molto altro. Oggi non a caso una delle sfide maggiori da affrontare con la contrattazione – oltre naturalmente a riequilibrare il potere di acquisto dei lavoratori, logorato dall’inflazione e dal caro vita – è proprio quella di rafforzare le competenze della persona, innovare la classificazione del personale, rafforzare il ruolo della bilateralità. Non a caso sono queste le strade che abbiamo voluto percorrere anche in occasione dell’ultimo recente rinnovo del contratto collettivo nazionale degli operai agricoli e florovivaisti, con cui, oltre a un incremento salariale del 4,7%, siamo riusciti a conquistare per i lavoratori anche tanti passi in avanti nell’ambito del welfare, della solidarietà, della formazione, dei profili professionali.
La transizione ecologica richiede competenze di cui spesso i nostri lavoratori sono sprovvisti. E questo è un problema che riguarda anche la nostra capacità di gestire un cambiamento epocale facendo in modo che nessuno resti indietro. L’agricoltura 4.0, le nuove tecnologie digitali, l’innovazione nei sistemi irrigui, le metodologie di monitoraggio e intervento sul patrimonio boschivo, le stalle in cui si applicano i principi del benessere animale e si utilizzano tecniche di avanguardia per l’uso equilibrato dei mangimi, la capacità dei consorzi di bonifica di produrre energia alternativa, anche con pannelli solari galleggianti, che consentono di non consumare altro prezioso suolo agricolo, oppure le conoscenze necessarie in materia di ricezione agrituristica, sono tutti esempi di come sia in trasformazione il rapporto stesso tra lavoratore e impresa, tra ambiente e sistema agroalimentare, tra natura e cultura, tra capitale e lavoro.
Questo cambiamento va governato in maniera condivisa e lungimirante. I 4,88 miliardi predisposti dal Mipaaf grazie al Pnrr vanno nella direzione giusta. Un miliardo e mezzo di euro è destinato al Parco Agrisolare, per produrre energia pulita in agricoltura e nell’agroindustria senza consumare altro suolo; 500 milioni, di cui il 40% riservato alle regioni del Sud, sono stanziati per lo sviluppo della logistica, per innovare le produzioni, renderle più sostenibili, potenziare la competitività delle filiere e la tracciabilità dei prodotti, ridurre lo spreco alimentare; 500 milioni riguardano l’innovazione e la meccanizzazione, per aumentare la resilienza climatica, ridurre l’uso dei pesticidi, favorire l’economia circolare; poi 880 milioni sono destinati al miglioramento del sistema irriguo, per una gestione più efficiente e monitorata delle preziose riserve idriche; infine, un miliardo e due va ai contratti di filiera e di distretto, per favorire investimenti materiali e immateriali nelle aziende agricole, nella trasformazione e nella commercializzazione dei prodotti agricoli, nella partecipazione dei produttori ai regimi di qualità, nella ricerca e sviluppo.
Vale la pena ricordare che nonostante la pandemia nel 2021 il settore agricolo ha registrato un valore aggiunto di poco negativo, -0,8%, mentre l’indice della produzione industriale alimentare è cresciuta del +6%. Le esportazioni italiane di cibi e bevande hanno superato i 52 miliardi di euro, registrando un +11% sul 2020. Oggi la ripresa del canale Horeca e il fortissimo recupero dei flussi turistici fanno ben sperare.
Ecco perché è ancora più importante che le risorse del Pnrr vengano intercettate e spese bene, in modo condiviso e programmato. Il sindacato è pronto a fare la propria parte, con una visione generale che favorisca una nuova politica industriale ed energetica, protezioni sociali universali, stipendi più in linea con il costo della vita e pensioni dignitose, più formazione e sostegno al reddito, supporto alle fasce sociali vulnerabili, amministrazione pubblica e giustizia più efficienti.
Quel che è certo, è che con un milione di lavoratori agricoli, che diventano oltre 3 milioni se consideriamo il settore primario nel suo insieme, 733 mila imprese agricole, 70 mila imprese alimentari, il Made in Italy può scommettere nell’agroalimentare come leva di crescita e sviluppo. Con 317 prodotti Dop, Igp, Stg, e 526 vini Docg, Doc, Igt, siamo il Paese europeo con il maggior numero di prodotti agroalimentari a denominazione di origine e a indicazione geografica riconosciuti dall’Ue. Ad attrarre turisti dal tutto il mondo, non sono soltanto le produzioni, ma è lo stesso stile di vita italiano, che lega tradizione e innovazione, qualità e territorio.
Dietro tutto questo c’è un saper fare che soltanto il lavoro dignitoso e la concorrenza leale possono continuare a garantire, con il sostegno determinante di relazioni industriali e sindacali mature, coraggiose e responsabili. E anche questo, in fondo, il senso della nostra adesione al Manifesto di Assisi. Il 24 gennaio 2020 è accaduto qualcosa di storico, che non deve essere dimenticato. Istituzioni italiane ed europee, imprese, rappresentanti del settore energetico e di quello agricolo, università e ricerca, insieme al Sacro Convento, si sono uniti per la prima volta per dare gambe a un contrasto sinergico della crisi climatica. La Fai-Cisl c’era, e continuiamo ad esserci oggi per ribadire il nostro impegno, ora che a quella crisi si è sovrapposta prima l’emergenza sanitaria poi il conflitto russo-ucraino. Guardando sempre al bene comune, e a una sostenibilità che non può che essere insieme economica, ambientale e sociale.