Le aziende lattiero-casearie hanno uno strumento in più per rintracciare in modo rapido, efficace e a basso costo l’aflatossina M1 nel latte crudo, sostanza considerata cancerogena per l’uomo proveniente da animali nutriti con mangimi contaminati. Quale? Un innovativo kit diagnostico quantitativo realizzato dall’Enea in collaborazione con l’Università di Torino. A spingere l’istituto di ricerca verso nuove sperimentazioni anche la disposizione dell’Unione europea che ha fissato una concentrazione massima di aflatossina M1 di 50 nanogrammi/litro nel latte crudo, nel latte trattato termicamente e in quello destinato alla produzione di formaggi. E ha ulteriormente abbassato questo valore soglia (25 mg/l) negli alimenti destinati ai neonati e ai bambini, che risultano tra i maggiori consumatori di questo alimento.
Il sistema usa le piante per produrre molecole complesse come gli anticorpi
La tecnica di analisi messa a punto dai ricercatori Enea prevede, per la prima volta, l’impiego di anticorpi monoclonali prodotti da una pianta dello stesso genere del tabacco (Nicotiana Benthamiana) per intercettare le tossine presenti nel latte anche a concentrazioni molto basse, ben al di sotto dei limiti fissati per legge, come hanno dimostrato le sperimentazioni condotte su campioni di latte crudo contenenti diverse concentrazioni di aflatossina M1 (25, 50 e 75 nanogrammi/L).
«Si tratta – ha specificato Marcello Catellani del laboratorio Enea di bioprodotti e bioprocessi – di un approccio biotecnologico che può liberare la produzione di anticorpi dai classici e più costosi sistemi basati su colture di cellule animali, che richiedono strutture e ambienti dedicati, reagenti e strumenti specifici per la loro crescita in condizioni di sterilità, come ad esempio bioreattori e incubatori».
Per la produzione degli anticorpi i ricercatori si sono avvalsi di un sistema alternativo ed economico offerto dal Plant molecular farming, che usa le piante per produrre molecole complesse come gli anticorpi e permette di operare in condizioni non sterili (serra, acqua, luce, suolo) con costi ridotti al minimo.
Il nuovo kit, ha spiegato Catellani, è la versione green di Elisa, uno dei più diffusi metodi di screening rapido per il rilevamento delle tossine negli alimenti e nei mangimi animali.
La tecnica dell’agroinfiltrazione
Per questa ricerca è stata inoltre utilizzata la tecnica dell’agroinfiltrazione, che prevede l’utilizzo di un batterio chiamato Agrobacterium tumefaciens per veicolare l’informazione genetica nei tessuti vegetali della pianta Nicotiana Benthamiana. Un processo che richiede solo uno o due giorni per la crescita degli agrobatteri che hanno il compito di veicolare l’informazione genetica nella pianta. Dopo circa una settimana è possibile raccogliere le foglie da cui estrarre fino a 1,6 g/kg di anticorpi.
«Lo scale-up di questa produzione – ha affermato Cristina Capodicasa del laboratorio Enea di biotecnologie – è immediato, facilmente modulabile e poco costoso, se confrontato con colture cellulari in vitro, perché richiede semplicemente un ampliamento dello spazio di coltivazione dedicato alle piante».
Il rischio aflatossine
Le aflatossine sono micotossine prodotte da funghi del genere degli aspergilli che si sviluppano di solito quando le derrate alimentari sono conservate a temperature tra i 25 e i 32°C e con tassi di umidità dell’ambiente di oltre l’80%. Non si vedono a occhio nudo, non hanno sapore e, soprattutto, mostrano un’elevata stabilità durante i trattamenti termici come la pastorizzazione del latte.
Laura Saggio