Negli Stati Uniti, l’agricoltura rientra tra i settori che beneficeranno dei fondi dell’Inflation Redaction Act (Ira), il tanto discusso programma per la promozione delle tecnologie verdi e per contrastare gli effetti del cambiamento climatico.
Gli stanziamenti assegnati al settore primario ammontano a 40 miliardi di dollari, dei quali circa la metà verrà destinata ad ampliare, nei prossimi cinque anni, i programmi già in corso per la sostenibilità ambientale e il resto andrà a incentivare le energie rinnovabili, la forestazione e le pratiche di sequestro al suolo del carbonio. Dopo l’Unione europea, gli Stati Uniti sono il secondo esportatore di prodotti agroalimentari a livello mondiale: con un totale di 196 miliardi di dollari, le vendite all’estero hanno toccato il massimo storico.
Le decisioni assunte oltreoceano per il settore hanno, quindi, un impatto scontato sull’andamento e sulle prospettive dei mercati internazionali. Due aspetti, in particolare, meritano attenzione. In primo luogo, la transizione verde viene sostenuta e favorita attraverso risorse finanziarie aggiuntive. Inoltre, è stato deciso di puntare su metodi di produzione che, come sottolineato dal segretario di Stato all’Agricoltura, Tom Vilsak “oltre a rispettare il clima e l’ambiente, sono in grado di creare valore e opportunità per gli agricoltori”.
A livello europeo, lo scenario è ben diverso. Su spinta della Commissione, tagli all’uso dei mezzi di produzione, a partire dai fitofarmaci, riducono l’apporto che può arrivare dall’innovazione tecnologica. Inoltre, le risorse finanziarie sono in calo. L’alto tasso di inflazione nell’Unione Europea sta provocando una riduzione del valore reale dei pagamenti diretti agli agricoltori, e così pure degli incentivi previsti per lo sviluppo rurale. I costi per la realizzazione dei progetti, anche per quanto riguarda la transizione ecologica, sono aumentati a fronte di assegnazioni bloccate.
Già lo scorso anno, ha indicato la Commissione, i trasferimenti per lo sviluppo rurale sono risultati inferiori alle previsioni. Stando alle più recenti analisi, il picco dell’inflazione è stato raggiunto e, forse, superato. Nella zona dell’Euro, come indica la Banca centrale europea, bisognerà comunque attendere fino al 2025 per il ritorno a un tasso d’inflazione prossimo al 2 per cento. Lo scenario, intanto, resta segnato da grande incertezza. Sui mercati agricoli, infatti, registriamo tendenze preoccupanti. Per alcuni prodotti, come la soia, i prezzi risultano sostanzialmente allineati con la dinamica dei costi. Per altri, invece, è il caso dei cereali, si registra un “disallineamento”: le quotazioni sono al momento tornate indietro di un anno.
Le previsioni più autorevoli indicano che anche il 2023 sarà caratterizzato dall’agflazione, ossia da un sensibile aumento dei prezzi dei prodotti alimentari, accompagnato da condizioni di accentuata volatilità. Nella UE la garanzia alimentare non è mai stata in discussione: anche durante la fase più acuta della pandemia e, ora, con un conflitto in corso tra i due principali esportatori di cereali e semi oleosi. La salvaguardia del potenziale produttivo agricolo dell’Unione assume, quindi, un rilievo strategico per la garanzia delle forniture e la stabilità dei mercati a livello globale.
L’esperienza maturata con il gas russo dimostra che non è lungimirante dipendere strettamente dalle importazioni per la copertura dei consumi interni di prodotti essenziali (come sono quelli destinati all’alimentazione). Il bilancio dell’Unione destinato all’agricoltura fino al 2027 ha subito un taglio in termini reali del 15% rispetto al precedente periodo di programmazione. Attualmente, le spese per la PAC rappresentano solo lo 0,4% del PIL della UE. Nei prossimi mesi, la Commissione presenterà una proposta di revisione di metà periodo del bilancio pluriennale. E’ l’occasione giusta per aumentare in misura significativa gli stanziamenti all’agricoltura, sottolineando che la sicurezza alimentare, l’alta qualità dei prodotti, la protezione delle risorse naturali poggiano sulla vitalità economica delle imprese che producono per il mercato.
Gli aiuti di Stato, a cui è stato fatto un ampio ricorso negli ultimi anni, sono una pericolosa alternativa, perché favoriscono le imprese degli Stati membri con una maggiore capacità di spesa e, alla lunga, mettono a repentaglio il mercato unico. Serve, invece, un bilancio agricolo di dimensioni più ampie di quello attuale e all’altezza delle ambizioni europee su uno scacchiere internazionale in forte ed incerta evoluzione.