Disponibilità della risorsa idrica e sicurezza dei territori: due facce della stessa medaglia, chiamata gestione idrogeologica, messa in crisi in primis dai cambiamenti climatici. Attorno a questo binomio è ruotato il dibattito dell’annuale assemblea Anbi svoltasi a Roma che ha coinvolto, tra gli altri, istituzioni e rappresentanti degli enti di bonifica e di irrigazione italiani. Da più parti è emersa la necessità di gestire l’acqua secondo logiche di prevenzione, anziché di emergenza.
Come sottolineato dal presidente Anbi Francesco Vincenzi, «l’operare in emergenza, come fatto negli ultimi venti anni, deve lasciare il posto all’agire incisivo e pianificato in ottica preventiva, che garantirebbe costi cinque volte inferiori rispetto all’agire in emergenza. Dal punto di vista infrastrutturale bisogna avere il coraggio di fare scelte impopolari ma necessarie al bene dei territori. In tal senso, il piano invasi e il piano laghetti devono rappresentare il primo dei tanti tasselli di un mosaico che si va a completare con un ammodernamento e efficientamento delle infrastrutture irrigue. Quell’11% di acqua piovana che oggi tratteniamo non è da Paese civile. Non dobbiamo avere paura di spendere le risorse assegnate e sbrogliare tutti quei lacci e lacciuoli che impediscono la manutenzione ordinaria».
Primi passi in questi termini, ha detto Vincenzi, sono stati il Decreto Siccità, che il Governo ha emanato ad Aprile 2023 e l’avviso del 21 Giugno scorso per la presentazione delle domande d’inserimento nel Piano nazionale di interventi infrastrutturali e per la sicurezza nel settore idrico, il principale strumento di pianificazione con cadenza triennale, finalizzato alla realizzazione e manutenzione di infrastrutture idriche strategiche.
Il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ricordando che il Pnrr prevede 230 interventi sul sistema idrico, ha affermato: «Occorre pulire le dighe e realizzare gli invasi. Dobbiamo fare aree di esondazione prevedendo un meccanismo automatico di risarcimento. Se le avessimo avute lungo l’asse del Po in maniera cospicua, forse avremmo deviato prima e meglio le acque – ha aggiunto riferendosi all’alluvione in Emilia-Romagna –. Sono questioni che vanno affrontate con una pianificazione seria, con il ruolo delle Autorità di bacino rinforzate, delle Regioni e con opportuni finanziamenti che sono disponibili».
Il presidente Coldiretti Ettore Prandini ha ribadito che «nel passato abbiamo perso pezzi importanti di monitoraggio e gestione territoriale a favore di soggetti improvvisati, senza alcuna conoscenza del territorio. Da qui dobbiamo ripartire, riprogrammando nel medio e lungo periodo. Dobbiamo accumulare l’acqua realizzando nuovi bacini e metterla a disposizione dell’agricoltura, della produzione di energie rinnovabili e delle zone che nel periodo estivo sono a rischio siccità, con alte probabilità di spopolamento e di abbandono dei terreni agricoli».
A margine dei lavori, il presidente Enpaia Giorgio Piazza, ricordando che la Fondazione in virtù della convenzione rinnovata nel 2019 con Anbi-Snebi gestisce il Fondo di accantonamento del trattamento di quiescenza dei dipendenti consorziali, ha sottolineato: «Crediamo in questo percorso a tutela del lavoro e della parte fondamentale che costituisce i consorzi, ossia il loro personale. All’interno di questo sistema possiamo applicare tutti i percorsi di investimento in innovazione sui territori, per mettere a fattor comune e a maggior redditività tutto il sistema acqua che, oramai è conclamato, è una risorsa che può generare reddito ma anche distruzione e costi. Il sistema dei consorzi, eccellenza di questo Paese, è abituato a progettare, gestire, rendicontare e soprattutto a lavorare in prevenzione, aspetto cruciale poiché prevenire costa enormemente meno che curare».
Laura Saggio