di Giuseppe Tognon, Professore Ordinario Università LUMSA di Roma e Presidente della Fondazione trentina Alcide De Gasperi
L’Europa è stretta tra la morsa della guerra e il rischio di una recessione economica ancora più pericolosa della crisi vissuta con la pandemia. La Nato ha assunto una rilevanza che non aveva da decenni e tutti i blocchi in cui è diviso il mondo hanno iniziato ad agitarsi, magari per un confronto futuro finale che ci auguriamo non ci sarà. L’iniziativa politica dell’Unione europea appare forte sul piano delle intenzioni – ed è già un bene – ma è fragile, perché più l’Unione cerca di imporsi più rischia di perdere pezzi e, soprattutto, di manifestare ancora una volta la sua impotenza. L’eroismo del popolo ucraino anima l’immaginario collettivo, ma non riesce a far emergere un altrettanto forte eroismo europeo il quale non può essere visto come un’alternativa tra «vita o morte» e richiede invece una favorevole atmosfera di pace e di libertà. Quello ucraino è un eroismo da nazione dell’Ottocento, costretta purtroppo dalla storia – che raramente è benigna – a decidere finalmente del proprio futuro soffrendo e lottando. Quando la guerra in Ucraina sarà finita si dovrà fare un bilancio del nuovo potere europeo e non sarà necessariamente positivo. Il protagonismo militare e diplomatico degli Usa aggiunge molto alla vicenda ucraina ma poco alla storia politica europea che sembra ritornare verso una logica di potenza più andare verso il futuro di una vera federazione dei popoli.
Malgrado molti segnali incoraggianti la situazione europea non è dunque brillante e mette a nudo un grave deficit di partecipazione ai valori europei, ormai tradotti troppo spesso in interessi. Le grandi discussioni sul futuro dell’Unione mascherano il fatto che dovunque il governo comunitario di Bruxelles si giri trova sempre e comunque ostacoli. Il Parlamento europeo, che è l’istituzione comunitaria più democratica, è costretto ad inseguire una serie di provvedimenti talvolta marginali che finiscono per indebolirne la funzione propositiva. E quando si risveglia al sole dell’avvenire, non ha la forza e la volontà di forzare la mano, anche perché le famiglie politiche che lo abitano sono residuali, rispetto al quadro politico ed elettorale che interessa la maggior parte dei paesi membri dell’Unione, nei quali i vecchi partiti sono tramontati o si mascherano dietro improbabili maquillages. Un’ Unione politica, come per ogni governo democratico, dovrebbe avere come compito quello di garantire la salute, la sicurezza e il benessere dei popoli, con particolare riguardo ai più bisognosi e ai giovani. Ma mentre un governo nazionale può trincerarsi dietro la volontà della maggioranza politica di cui è espressione e dunque essere “di parte”, il governo dell’Unione deve riuscire ad esprimere un’ intenzione comunitaria che va oltre la somma delle parti e non c’è dimensione migliore di quella dei giovani che è composta da individui attivi alla ricerca di legami, di affetti e in possesso di sogni e anche di timori da superare. Solo agendo con convinzione, sia pure con rispetto, nella sfera della vita privata dei nostri figli l’Unione europea, fondata dall’alto grazie alla volontà ferma e pensosa di alcuni Padri, tra cui Alcide De Gasperi, riuscirà ad entrare in sintonia con una volontà generale non viziata da egoismi eccessivi o da mediazioni oscure di interessi e di nomenclature.
C’è un punto che merita di essere sottolineato: è la totale mancanza di un canale ascendente europeista, dal basso, che porti in primo piano i sentimenti delle generazioni più giovani. Ciò che manca all’orizzonte è la leva della volontà giovanile e la misura di ciò che ci manca ce la forniscono le indagini statistiche e le rilevazioni sullo stato di fiducia nelle istituzioni, che è mediamente basso, e sulla rassegnazione della maggioranza dei giovani davanti alla mancanza di un lavoro «come lo vorrebbero».
Tra aspirazioni giovanili di vita e realtà si è aperta una frattura culturale che è anche il risultato della abdicazione degli adulti alla loro responsabilità genitoriale che richiede non soltanto cura ma anche spirito critico e rispetto solido. Di fronte ad adulti inadeguati non esiste passerella legislativa o economica di emergenza che può colmare il divario tra desideri e capacità. L’ «adultità”» del diritto, delle norme, delle istituzioni, delle tradizioni politiche e delle burocrazie potrà svolgere la sua funzione preziosa di misura e di concertazione solo se posta al servizio non soltanto di una volontà «generale» espressa attraverso i meccanismi di rappresentanza ma di una volontà generazionale «vitale» che spinga chi ha 18 anni a prendere in spalla la propria vita e soprattutto ad assumere una cittadinanza attiva.
Che cosa fare per rimettere in moto quell’Europa sociale e dei diritti che, spezzettata nelle politiche nazionali o locali, finisce per diventare un mostro di burocrazia e di miopia politica comunitaria? Molto, ma comunque non solo una contrattazione tra parti sociali che nella maggioranza dei casi faticano ad intercettare il sentimento dei giovani europei, di coloro che non sono ancora entrati nel mercato del lavoro o del sussidio garantito e che hanno la libertà di credere e di pretendere che il loro futuro possa essere costruito anche fuori dagli schemi.
Si avverte l’esigenza che la politica dell’Unione ricominci a lavorare sul dossier dei giovani cercando di avanzare sul piano dei diritti ma anche su quello dei doveri, chiamandoli a responsabilità collettive che riescano a forgiare un sentimento comune di cittadinanza duraturo nel tempo. Per esemplificare, potremmo fare intanto riferimento ad alcune dimensioni della vita giovanile che sono in qualche misura obbligate ma che possono esprimere nuove forme di partecipazione al futuro europeo: la dimensione dell’alta formazione, della protezione civile e della cura dell’ambiente, dell’arte e dell’espressività. Formazione, solidarietà nelle difficoltà e ricerca espressiva – in tutte le sue forme – sono tre dimensioni principali della vita giovanile di questi decenni ed è attraverso di esse che è possibile liberare i giovani dal fatalismo o dal velleitarismo che li consegna a leadership inadeguate, roboanti ma poco sagge.
- Puntare sull’alta formazione
Sulla formazione sarebbe opportuno andare oltre l’esperienza Erasmus, che, sia pure con risultati lusinghieri, mostra la corda e in troppi casi si traduce in una sorta di turismo accademico a vantaggio di ceti borghesi già predisposti alla mobilità internazionale, da «classe universale». La frequenza dei corsi universitari, che interessa oggi quasi il 65% dei giovani europei, è una piattaforma formidabile per integrare culture, lingue, storie ma ancora non riesce, per resistenze nazionali e per la complicazione del diritto universitario internazionale (se di ciò si può parlare) a garantire agli studenti universitari uno status civile europeo e la dignità per interloquire davvero nella vita universitaria. Non basta il meccanismo del riconoscimento dei crediti quando reclutamento, carriere, programmi dei corsi sono così diversi e spesso contraddittori nei vari paesi dell’Unione, i cui Trattati infatti non toccano la questione come meriterebbe e come sarebbe possibile, considerando la progressiva convergenza dei saperi. Come ha detto il Presidente Mattarella in una Lectio doctoralis che ha tenuto a Parma il 4 ottobre 2021: «L’Europa può giovarsi dell’università anche sul piano politico e civile per sperimentare forme più sofisticate di cittadinanza nella libertà di studio e di ricerca […] Forse è giunto il momento per chiedere che le istituzioni europee inseriscano nella loro agenda, accanto alle grandi questioni incompiute della sicurezza e della armonizzazione economica e fiscale, anche il tema della dimensione universitaria. Appare maturo il tempo di un diritto universitario europeo, inserito se necessario nei Trattati, così da porre il nostro continente all’avanguardia nel fornire un supplemento di garanzie, se occorre anche speciali e temporanee, agli studenti e ai docenti delle università, nel loro percorso. Si tratta di questione che deve essere proposta e può trovare posto nel percorso di riflessione della Conferenza sul futuro dell’Europa. È la “sovranità condivisa” della cultura che unisce ogni persona ai suoi simili, rende coese le comunità, ne rafforza l’autonomia». Ciò che il nostro Presidente della Repubblica suggerisce è esattamente il contrario di quanto purtroppo auspicato da un sistema mercantilistico dell’alta formazione, che punta a privilegiare, per attrarre nuovo capitale umano, gli High potential individual, cioè coloro i quali in virtù del fatto che hanno frequentato atenei prestigiosi e magari carissimi, hanno la strada spianata per carriere di prestigio o per aggirare restrizioni all’ingresso e alla mobilità tra gli Stati.
- Favorire impegno in Protezione civile e cura dell’ambiente
Una seconda strada potrebbe essere quella della realizzazione di un Corpo europeo della protezione civile, fatto di professionisti ma integrato da volontari “di leva” e chiamato ad intervenire in tutti i paesi con tempestività quando calamità naturali o industriali lo richiedano. L’aiuto tra gli Stati funziona ma richiede tempi e modalità spesso lente e farraginose. In caso di alluvioni o incendi o terremoti si arriva spesso tardi, quando le risorse nazionali sono ormai esaurite e i danni ormai gravi. Ciò che è necessario costruire sul piano della sicurezza e di difesa europea si potrebbe intanto sperimentare attraverso questo strumento di protezione civile integrata che troverebbe tra i giovani sicura rispondenza nel sentimento ecologista e di protezione dell’ambiente. L’idea di un Corpo europeo per la protezione civile non è nuova, ma non si è ancora riusciti a farla decollare e potrebbe essere uno degli esempi di «cooperazione rafforzata» tra alcuni paesi di cui si parla come della formula necessaria per superare il tabù della unanimità nelle decisioni.
- Promuovere la creatività artistica, culturale e artigianale
Infine, una terza dimensione in cui osare di più è quella della creatività. Non mancano programmi europei e non mancano grandi manifestazioni che attirano migliaia di giovani, ma si resta per lo più nell’ambito di un’offerta dall’alto che non va in profondità e che, soprattutto, per intercettare il mercato, deve restare ad un livello che spesso non è «popolare», ma scade nel kitch. Invece, per favorire la sperimentazione nei diversi linguaggi dell’arte, è decisivo credere nella libertà assoluta di sperimentare così da apprezzare nei singoli la voglia di rischiare e soprattutto la possibilità di cercare strade nuove, anche sbagliando. Basterebbe creare a livello europeo un meccanismo fiscale agevolato per i giovani, sotto i 40 anni, che decidono di dedicarsi individualmente o in gruppo all’ esperienza e alla produzione artistica, estesa all’artigianato di qualità. Ciò che viene fatto per incentivare le start up tecnologiche o finanziarie dovrebbe essere fatto, e meglio, per l’arte e la cultura artistica. Non basta favorire il mercato dei libri o degli audiovisivi, o cercare di frenare lo strapotere dei social dominati da grandi corporations americane o asiatiche. Nel campo della libertà di espressione e della creatività occorre che non tutto sia intercettato dai potenti o da chi è organizzato e occorre che qualche cosa arrivi direttamente ai singoli giovani o ad associazioni. Se si vuole attivare l’enzima capace di far fermentare e dunque trasformare una comunicazione standardizzata pilotata da interessi economici giganteschi, il modello a cui guardare non è quello degli influencer, ma piuttosto quello di artisti che maturano la loro arte e la loro visione del mondo nel corso di una carriera che non è soltanto professionale, ma di vita.
In conclusione, possiamo affermare che la vocazione dell’Europa non può più essere dominata da modelli istituzionali rigidi e mutuati da quelli degli Stati del passato e non può adottare soltanto la logica finanziaria o della regolamentazione dei prodotti e dei servizi. E, anche se la guerra nel cuore del continente europeo ci riporta alla sostanza della pace e della autodeterminazione dei popoli, non è bene dimenticare che se di vocazione si deve parlare essa non può ridursi alla autodifesa ma va cercata nell’ energia «naturale» espansiva di più di cento milioni di giovani oggi tra i 16 e i 32 anni su cui noi confidiamo non solo per la nostra vecchiaia ma per la loro e altrui felicità.