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    7 Luglio 2022

    Diplomazia via privilegiata per la pace e lo sviluppo economico e sociale

    Per riflettere sulla pace occorre iniziare dalla guerra in Ucraina. Nella situazione attuale occorre elaborare un piano per la gestione delle relazioni con la Russia a lungo termine. E solo l’Europa può prendere in mano la leadership di tale mediazione con lucidità di toni tenendo a bada i falchi interni. . Il negoziato, dunque, non dovrà essere solo tra Ucraina e Russia (come vorrebbe Mosca) ma con tutta l’Europa.
    By Enpaia
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    di Mario Giro, Professore di relazioni internazionali all’Università per stranieri di Perugia, già viceministro degli Esteri

    Stiamo vivendo un tempo difficile in cui assistiamo alla rivalutazione della guerra come strumento di risoluzione delle contese internazionali. L’aggressione russa all’Ucraina ha messo in moto dinamiche non controllabili con effetti che stanno andando ben al di là del Donbass o del Mar Nero, come osserviamo con la penuria alimentare in Africa. Molto grave la crisi del sistema multilaterale e l’impotenza delle istanze internazionali, in primis delle Nazioni Unite. La crisi dell’approvvigionamento energetico e delle catene di approvvigionamento stanno amplificando gli effetti della pandemia sull’economia mondiale. L’insicurezza alimentare aggravata dalla crescita incontrollata dei prezzi rende sempre più difficile la sopravvivenza di milioni di persone e questo con conseguenze nefaste sulla stabilità di molti paesi già fragili. Tutto ciò rende la guerra in Ucraina più gravida di conseguenze, con enormi implicazioni anche per la nostra vita e per il futuro. Non dobbiamo trascurare che la comunità internazionale ha dimostrato la tendenza preoccupante a trascurare le crisi precedenti (come la Siria) sia da un punto di vista politico che da quello dello sviluppo.

    Per riflettere sulla pace occorre iniziare dalla guerra in Ucraina. Il ritorno della guerra in Europa è una cattiva notizia che cambia tutto. Una delle caratteristiche della guerra è infatti quella di occupare tutti gli spazi di riflessione, devitalizzandoli e cercando di rendere il discorso sulla pace irrilevante. Quando scoppia una guerra il pensiero si paralizza e tutti si concentrano nello schierarsi, polemizzando su chi ha torto e chi ha ragione. E’ il metodo mimetico della guerra: distogliere l’attenzione da sé per portarlo sulle ragioni di chi si combatte. La guerra è un ingranaggio che crea le condizioni (materiali e psicologiche) per il suo protrarsi in maniera permanente. Dobbiamo dirci innanzi tutto che il problema nasce dall’aver riabilitato culturalmente la contrapposizione (anche violenta, come la guerra) in tutti i campi della vita. La guerra è anche una grande semplificatrice: riduce le scelte all’osso, combattere o perire. Non c’è più libertà di scelta: chi cerca un’altra via è considerato come minimo un ingenuo. In guerra tutto sembra più semplice. Così sta avvenendo anche nella guerra in Ucraina: discuterne senza polarizzazioni è divenuto molto difficile. Più l’orrore aumenta (vedi Bucha o Irpin) è più si è indotti a prendere una parte, lasciandosi trascinare nell’ingranaggio.

    Esiste la questione del riarmo: la Germania si riarma e con essa tutta l’Europa. Papa Francesco si scandalizza del riarmo che crea le condizioni basiche per ogni guerra: più armi significano più guerra e più guerra genera altre guerre. Solo la pace può produrre pace e arrestare i conflitti. Infatti ogni guerra prolungata crea le condizioni di quella successiva: lo vediamo dopo tanti conflitti nei Balcani, in Medio Oriente, in Africa. Numerose guerre inutili e sbagliate. L’unica via per uscirne del tutto è imboccare decisamente la via del disarmo e della diplomazia: disarmare le mani, per in seguito disarmare le emozioni, gli animi e iniziare a dialogare. Pace è innanzi tutto disarmo. Aver interrotto da circa vent’anni i processi di disarmo iniziati al tempo della distensione, ha portato all’aver di nuovo accettato la guerra come inevitabile compagna della storia umana. E’ tempo di tornare alla ragionevolezza del “never again” del secondo dopoguerra e ricominciare a disarmarsi a vicenda.

    Come tutte le guerre, anche la guerra in Ucraina copre nel silenzio nefandezze di ogni tipo e trasforma i combattenti in peggio. La guerra deturpa l’anima dei popoli che la fanno o la subiscono, anche di quelli che si difendono. L’esperienza insegna che i paesi che vi sono trascinati ne escono deteriorati, inaspriti, peggiori di come vi sono entrati.

    Per i cattolici la guerra è divenuta un terreno impossibile fin dal primo conflitto mondiale: è fratricida, nemica della vita (umana, di ogni essere vivente e della natura: in una parola del pianeta intero), un male da abbreviare al più presto e ad ogni costo. Lo hanno dichiarato tutti i papi del XX° secolo e ora anche papa Francesco per il quale la guerra è sacrilega, contraria alla sacralità della vita umana e della natura. Per la chiesa cattolica è la guerra il vero nemico: rappresenta la follia del male che va arrestato al più presto. Più il conflitto dura e più si pongono le condizioni per quello successivo, cioè di un ciclo infinito delle vendette. Ma anche per i laici è così e Kant lo diceva in modo semplice: “la guerra elimina meno malvagi di quanti ne crea”.

    Per convincersene si pensi alle guerre fatte nell’ultimo trentennio: guerre nei Balcani, guerre del Golfo, Afghanistan, Siria, Libia ecc. Nessuna di esse ha risolto qualcosa né ha corrisposto alle ragioni invocate per iniziarle ma ha solo peggiorato le situazioni, creando altro caos. Si tratta di un’osservazione oggettiva che ci fa riflettere. Laddove si sono sviluppati tali conflitti oggi non c’è né ordine, né stabilità, né riconciliazione né democrazia ma covano solo odio, rancore e spirito revanscista oltre che mancato sviluppo e povertà. Nella Laudato Sì papa Francesco mette in parallelo l’aggressione alla vita dell’essere umano con quella alla natura e sottolinea come ogni attacco all’ambiente generi automaticamente diseguaglianza sociale.

    Schierarsi è impulso comprensibile soprattutto laddove c’è un’aggressione ingiustificabile come nel caso dell’attacco russo all’Ucraina. Subito dopo però occorre ragionare lucidamente e tornare al dialogo diplomatico. La sorgiva simpatia per il popolo ucraino aggredito e il rispetto per la sua resistenza sono condivisibili. Più problematica l’idea di prolungare la guerra, trasformandola in guerra totale: oltre a moltiplicare le sofferenze dei civili, si rischia di cadere nelle mani di chi vuole renderla perenne, manipolando il caos. Vi sono leader occidentali che sembrano non temere una guerra generalizzata, totale. Occorre restare lucidi anche perché un conflitto di tale portata può essere molto pericoloso e far lievitare la tensione fino a livelli impensabili.

    Le conseguenze dell’attuale conflitto si stanno verificando a livello globale; accelerazione della deglobalizzazione con il taglio delle supply chains globali; penuria alimentare; aumento dei prezzi dell’energia e dei trasporti; mancanza di alimenti di prima necessità come farine, grano, semi oleosi e mais per l’allevamento. Tutti saranno in un modo o nell’altro colpiti fortemente dagli effetti negasti di una guerra lunga come lo sono già ora solo dopo alcuni mesi di confitto. Va detto che tutta la filiera globale della produzione alimentare è attualmente sotto stress e che alcuni paesi (come ad esempio l’Egitto, il Libano ed in genere tutto il nord Africa e Medio Oriente) stanno soffrendo acutamente la carenza di esportazioni alimentari sostitutive a quelle perse a causa dl conflitto.

    Ecco perché c’è da considerare il resto del mondo: molti paesi non si sono schierati, non solo la Cina ma l’India e tanta parte di Africa e di Asia ecc. Questo avviene perché l’Occidente in questi ultimi trent’anni si è alienato molte simpatie: ha commesso errori, ha condotto guerre inutili e dannose (non sempre rispettando le regole internazionali), si è occupato essenzialmente di sé stesso e non è stato particolarmente solidale con il resto del pianeta. L’astensione all’assemblea generale dell’ONU di molti paesi africani sulla risoluzione di condanna della Russia credo si debba, più che a un moto di vicinanza a Mosca, ad un segnale di irritazione per la guerra di Libia: quella malaugurata scelta euro-americana che ha gettato nel caos numerosi Stati dell’Africa Occidentale, oggi abbandonati a sé stessi. In sintesi: non è perché la Russia ha commesso l’errore più grande che gli errori occidentali sono cancellati. Gli altri continenti non dimenticano.

    Per evitare un’escalation senza limiti delle parole e delle decisioni è più saggio, politicamente, porsi già ora le domande sulla pace: cosa fare dopo, come fermare la guerra e recuperare la convivenza in Europa?

    La guerra delle democrazie si distingue da quella dei regimi autoritari precisamente sul dopo: le democrazie puntano alla pace mentre i regimi puntano solo alla vittoria. E’ necessario per prima cosa ottenere una tregua, fermando la Russia e indicandole una via di uscita per un vero negoziato. Occorre poi stabilire le nuove regole di sicurezza e cooperazione in Europa. In questo quadro bisogna elaborare un piano per la gestione delle relazioni con la Russia a lungo termine. Solo l’Europa può prendere in mano la leadership di tale mediazione con lucidità di toni tenendo a bada i falchi interni. Germania, Francia e Italia dovrebbero ingaggiare la Russia trattando seriamente la cessazione delle ostilità e la successiva costituzione di un vero tavolo negoziale, accettando di negoziare sulle sanzioni. Ciò non significa rinunciare al proprio giudizio sulla scellerata guerra ma ridare priorità alla politica.

    Il problema non è la resa dell’Ucraina: gli ucraini con coraggio sorprendente si stanno difendendo e nessuna grande città è ancora caduta salvo Mariupol; i russi hanno subito gravi perdite. E’ dunque giunto il momento per andare al negoziato a testa alta, prima che il paese sia ridotto in cenere. La parte più difficile non è tanto il cessate il fuoco (si ottenne anche nel 2014) ma sfidare i russi su un vero negoziato che includa non solo i vecchi temi (Crimea, Donbass, garanzie e neutralità) ma anche nuovi contenuti che introducono alla seconda tappa, quello di un accordo generale sulla sicurezza e la cooperazione in Europa. Il negoziato non è dunque solo tra Ucraina e Russia (come vorrebbe Mosca) ma con tutta l’Europa. Siamo tutti coinvolti nel futuro assetto del continente.

    Una nuova conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa è necessaria. Mosca accusa la Nato di essersi allargata forzando tempi e spazi. Qual è il nodo politico? All’epoca di Helsinki non si pose il problema della democrazia in sé ma si decise che i due sistemi potevano convivere a patto di mettersi d’accordo su alcune regole comuni, rispettando le rispettive sfere. Oggi la Russia di Putin invece contesta l’influenza crescente delle democrazie occidentali. Ecco perché una nuova Helsinki sarebbe diversa dalla prima: il “terzo cesto” (la parte sui diritti umani) diverrebbe il primo. Gli occidentali non cedono sul fatto che ogni paese sia libero di scegliere il proprio sistema e con chi allearsi, mentre per i russi vale ancora la vecchia regola delle sfere di influenza. Esiste un compromesso possibile tra le due visioni? La diplomazia deve cercare una risposta a tale quesito.

    Cruciale è il recupero di una relazione ragionevole con la Russia in Europa. E’ impensabile un’Europa senza rapporti con Mosca: la Russia non scompare dalla carta geografica ma lo sciovinismo russo va contenuto. Il confronto tra Russia ed Europa è sempre stato difficile ma recidere ogni legame in nome delle sanzioni non è saggia politica: occorre parlarsi. In qualunque caso si giungerà presto o tardi ad un negoziato: meglio dunque iniziare subito. Un negoziato di pace è sempre una sfida, un percorso doloroso: si devono fare concessioni anche su ciò che si è dichiarato inaccettabile (Crimea, Donbass ecc.), si devono cercare garanzie. Nel compromesso si acconsente di perdere qualcosa, da entrambe le parti. Fermare questa guerra significa bloccare la maturazione di altri conflitti che potrebbero derivare dal caos attuale.

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