I processi di innovazione hanno da sempre costituito nella storia dell’umanità un progresso che però, non sempre si è rivelato tale in tutti gli ambiti della vita umana.
Uno di questi, che interessa in particolare il settore agroalimentare, potrebbe essere quello della produzione di cibo sintetico.
L’arrivo sul mercato della carne sintetica, ad esempio, rischia non solo di sconvolgere le abitudini alimentari dei consumatori, senza alcuna garanzia dal punto di vista della tutela della salute umana e del patrimonio agroalimentare del nostro Paese, ma di mettere in serie difficoltà un intero comparto come quello dell’allevamento.
Se dovesse partire una produzione di massa di cibi sintetici, infatti, si infliggerebbe un colpo mortale a tante nostre imprese con un impatto negativo non solo sul piano economico anche sul versante dell’occupazione, con gravi danni anche sulla capacità contributiva di imprese e lavoratori, compresi gli impiegati agricoli.
Dal punto di vista della tutela salute, poi, alcuni interrogativi restano, come ad esempio le sostanze utilizzate per produrre la carne sintetica in questi bio-reattori, dove prelevano i tessuti animali necessari per far partire il processo di sintesi artificiale “in vitro”, su quale terreno di coltura e con quali sostanze chimiche far sviluppare il tessuto delle bistecche artificiali, e altre questioni non marginali per stilare un bilancio costi-benefici equilibrato e veritiero.
Il tema, peraltro, è tutto fuorché “da salotto”. Poiché la produzione di cibo sintetico destinato al consumo umano non è una prospettiva lontana nel tempo. Dunque occorre prestare la massima attenzione alla proliferazione di queste nuove produzioni, anche in ragione del fatto che stanno attraendo importanti investimenti da parte di aziende multinazionali che vedono una interessante prospettiva di remunerazione su un mercato globale e che hanno una capacità di comunicazione e di promozione del prodotto fuori dall’ordinario.
Anche volendo ignorare gli effetti a medio-lungo termine sulla salute umana, al momento sconosciuti e non prevedibili scientificamente in assenza di una sperimentazione che richiederebbe anni, la produzione della carne sintetica viene promossa magnificandone soprattutto le virtù etiche rispetto alla disumanità del trattamento degli animali da allevamento ed amplificando l’insostenibilità ambientale degli allevamenti intensivi. Senza contare le magnifiche e progressive sorti di questa innovazione tecno-biologica sul problema della fame nel mondo che verrebbe risolto con un colpo di magia a vantaggio soprattutto delle multinazionali che hanno acquisito i brevetti di queste nuove produzioni di cibo artificiale.
Un coro di sirene, al quale in certi casi di aggiungono con valutazioni poco ponderate anche blasonate istituzioni.
Secondo il rapporto Fao-Oms, la produzione di carne sintetica non presenterebbe rischi noti per la salute, sia dal punto di vista allergenico che cancerogeno, a fronte di vantaggi certi come la produzione di alimenti nutrienti, sostenibili e soprattutto a basso costo. Ma è evidente che il discrimine si nasconde dietro la parola “noti” riferita ai rischi per la salute e ai supposti benefici nutritivi. Un interrogativo non banale, posto che dal punto di vista della salubrità l’incertezza degli effetti a medio-lungo termine costituisce al momento l’unico punto fermo, mentre sulla capacità nutrizionale, aleggiano ancora ampi dubbi sulla carne sintetica.
Dal sondaggio Crea sui consumi di carne in Italia, realizzato lo scorso anno, emerge peraltro che solo il 25% degli intervistati ha manifestato disponibilità ad utilizzare la carne sintetica.
Dunque, si potrebbe concludere che, nell’immediato, il problema non rappresenterebbe un’urgenza per il nostro Paese. Ma così non è, poiché la velocità dell’innovazione in questo settore produttivo è legata alla capacità di investimento della finanza internazionale (anche in termini di marketing del prodotto per conquistare importanti quote di mercato) e soprattutto al livello di remunerazione del capitale investito che costituisce una molla potentissima per quei soggetti che hanno come unico obiettivo la massimizzazione del profitto in tutti i settori produttivi a discapito di qualunque altro fattore (sociale e sanitario).
Un paradigma che si pone in netta divergenza rispetto a quello adottato da Enpaia che ha scelto di investire nell’economia reale e in particolare in aziende del settore primario per sostenere le eccellenze del made in Italy e premiare quelle realtà produttive che riducono l’uso della chimica in agricoltura attraverso nuove tecniche colturali e produttive per garantire prodotti salubri e genuini ai consumatori.