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    2 Febbraio 2024

    Suez 2024. Il domino che può diventare incubo per l’occidente

    “L'epoca della procrastinazione, delle mezze misure, del mitigare, degli espedienti inutili, del differire sta giungendo alla fine. Ora stiamo entrando nell'epoca dove ogni azione causa conseguenze”.
    By Matteo Faiola
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    Nel 1936, ad un discorso alla House of Commons Sir Winston Churchill si esprimeva così, senza mezzi termini, sul periodo che di lì a qualche anno passò alla storia come “l’ora più buia”.

     

    Oggi come allora, ci sono ombre che stanno oscurando il cielo sopra la popolazione mondiale.

    In questo palcoscenico del mondo che cambia è difficile fare previsioni politiche e geopolitiche ed è altrettanto vero che, gli eventi dal 2020 in poi, ci stanno sorprendendo per la rapidità di successione; un copione evidente e sequenziale.

    La moltitudine di conflitti rende incandescente lo spazio del mediterraneo allargato e, a renderlo tale, è la coesistenza fra zone di conflitto armato di intensità differente. L’Ucraina è dal 24 Febbraio 2022 il teatro della maggiore guerra di terra avvenuta in Europa dal 1945. La Siria e la Libia sono attraversate da conflitti civili e tribali, iniziati entrambi nel 2011. Poi, il Nagorno Karabakh è conteso con le armi fra Armenia e Azerbaigian, così come la Georgia è divisa in due dall’invasione russa del 2008. In Yemen sono invece i ribelli filoiraniani Houthi a scatenare nelle ultime settimane l’attenzione delle cronache mondiali, con la vera e propria crisi aperta nel Mar Rosso.

    L’economia mondiale nel 2023 ha, in buona sostanza, mostrato una minima dose di resilienza considerando le suddette sollecitazioni, ma quello su cui è necessario concentrarci è la situazione geopolitica legata ai rallentamenti che nel secondo semestre hanno interessato prima il passaggio sul Canale di Panama e successivamente proprio il blocco del traffico marittimo nel canale di Suez.

    Abbiamo a che fare quindi con un 2024 che inizia mettendo in risalto un commercio internazionale caratterizzato da una dinamica inquieta ed in continua evoluzione.

    La situazione Panamense risale già a metà dello scorso anno, quando i preoccupanti effetti dei mutamenti climatici in corso hanno cominciato a condizionare il regolare andamento dei flussi marittimi: la siccità che ha investito l’America centrale ha di fatto costretto le autorità del canale a ridurre sensibilmente il numero di attraversamenti/nave, dagli ordinari 40 ai 18 slot attualmente prenotabili.

    È evidente che, anche se fisicamente distante, il rallentamento di Panama finisce per interessare tutti.

    La questione del passaggio per il canale di Suez è invece derivata dagli interventi posti in atto dagli Houthi, un gruppo islamico radicale yemenita nato nel 1992 inizialmente come movimento culturale, che a seguito degli avvenimenti del 7 ottobre scorso ha deciso di affiancare Hamas nell’ offensiva contro lo Stato ebraico, attuando atti di pirateria ed attacchi terroristici nel mar Rosso.

    Il gruppo, che prende il nome dal suo fondatore, Hussein al-Houthi, è principalmente costituito da musulmani sciiti strettamente legati all’Iran, e nel 2004 ha organizzato una rivolta contro il governo ufficiale dello Yemen a maggioranza sunnita, accusato di avversare la componente sciita anche alleandosi all’Arabia Saudita, anch’essa a guida sunnita. Dal 2014 gli Houthi controllano la capitale Sanaa con tutti i Ministeri e la Banca centrale, oltre a vaste regioni del centro e del nord.

    È evidente che un’azione di contrasto al funzionamento del Canale di Suez gode di un’improvvisa amplificazione mediatica globale. Quel passaggio è sicuramente uno dei più importanti punti strategici del globo, considerata l’entità del commercio che l’attraversa. Una navigazione crescente che è stata anche favorita dal recente raddoppio del canale e dall’apertura di una zona economica speciale.

    In sostanza, la collocazione geografica ha necessariamente trasformato quel canale in una delle più importanti infrastrutture di connessione dell’Umanità.

    L’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO) stima che usualmente nel Mar Rosso, fra Suez e Bab el-Mandeb, ogni anno transitano più di 23 mila navi (con a bordo circa un quarto del commercio mondiale). Tra le migliaia di tonnellate di merci trasportate (pari a circa il 12% del traffico merci globale e a circa il 30% di quello containerizzato, per un valore che si approssima a un trilione di Dollari US; dati: SRM 2023) passano ogni giorno per il canale anche circa 7 milioni di barili di greggio proveniente dai paesi del Golfo Persico e dell’Asia

    (la domanda mondiale quotidiana di petrolio è di circa 102 milioni di barili) e l’8% del gas liquefatto. Di rilievo anche il transito di grano, con una quantità complessiva annua stimata pari a circa 80 milioni di tonnellate.

    Alla fine del 2023, gli Houthi hanno annunciato che per fiancheggiare Hamas avrebbero preso di mira le navi al passaggio di Bab el-Mandeb, con l’obiettivo di rammentare al Mondo la ultradecennale guerra civile che si sta combattendo in Yemen (un Paese ormai in povertà estrema, afflitto dalla fame e dal colera)

    Nel corso di quest’ultimo periodo si sono contate 27 azioni di attacco eseguite dagli Houthi contro le navi in transito. Gli Stati Uniti e l’Inghilterra hanno proposto e rapidamente organizzato una task force navale con un folto gruppo di Paesi (Bahrain, Canada, Francia, Italia, Paesi Bassi, Norvegia, Seychelles e Spagna, con successiva aggiunta di diversi altri) allo scopo di proteggere la libera navigazione del Mar Rosso dando vita così alla Operazione Prosperity Guardian.

    Ovviamente l’Italia non potrà evitare le ricadute del blocco del Canale di Suez visto che ogni anno circa il 40% del suo import-export utilizza quel varco.

    Si fa riferimento ad un valore prossimo agli 83 miliardi di euro, ma è evidente che oltre al valore della ricchezza transitata va considerata anche tutta l’attività portuale e logistica che ne viene alimentata, oltre al valore economico dei tempi di consegna delle ordinazioni.

    Dopo i rischi di crisi alimentari sulla scia del conflitto russo-ucraino per il grano fermo nel porto di Odessa, il 2024 non sembra offrire scenari confortanti, con le ricadute del caso, anche qui ma non solo, in termini di nuove tensioni inflattive.

    Spostandoci dal medio all’estremo oriente, il 2024 dalle parti di Pechino segnerà il passaggio dall’anno del coniglio all’anno del dragone, secondo il capodanno cinese che si festeggerà alla vigilia del 10 febbraio prossimo, e con tutto il rispetto per l’adorabile coniglio è evidente come il drago (in questo caso di legno) sia di tutt’altro spessore strutturale.

    La Cina di Xi Jinping ricorre alla forza dei commerci con l’aggressività del mercantilismo delle origini per imporre i propri interessi economici sui territori di altri paesi.

    Gli Stati Uniti a loro volta, difendendo i propri interessi facendo leva sull’estesa rete di infrastrutture militari, hanno discusso la questione Mar Rosso in questo mese a Washington con Liu Jianchao, capo del dipartimento internazionale del Partito comunista cinese, chiedendo una presa di posizione a Pechino e di esortare l’Iran a tenere a freno i ribelli Houthi nel tentativo di evitare l’escalation in Medio Oriente, incontrando però pochi segnali di attenzione da parte della Repubblica Popolare.

    Infatti, ad oggi, non ci sono segni tangibili che la Cina si sia effettivamente schierata contro i rischi che potrebbero derivare dalla crisi nel Mar Rosso e secondo diverse fonti, gli Stati Uniti sarebbero a questo punto distolti dal concentrarsi sull’Asia, dando così alla Cina il tempo di schierare le proprie capacità militari nel Pacifico occidentale, presentandosi così come una potenza apparentemente benevola che non si intromette negli affari degli altri Paesi.

    Nel frattempo, però, mentre le grandi compagnie di navigazione girano al largo dal Mar Rosso, la Lloyd’s List Intelligence ha fatto sapere che diversi armatori battenti bandiera cinese (e russa) hanno cambiato le loro rotte abituali transitando dall’area minacciata dagli Houthi, sfruttando in particolare gli scali di Doraleh a Gibuti, Hodeidah nello Yemen e Gedda in Arabia Saudita.

    In definitiva, nel tempo corrente, ci si attende che la Cina ascenda a impero marittimo, processo ritenuto indispensabile alla supremazia globale, che l’impero di Mezzo non ha saputo realizzare in millenni di storia. Non basta navigare per il pianeta o fortificare il proprio mare. È necessario dominare le vie marittime, sostituirsi al Pentagono nel controllo dei colli di bottiglia per governare la navigazione e rendersi indispensabili agli alleati (attuali e futuri). Un salto di qualità che supera le nuove vie della seta dall’Asia centrale all’Europa. Strategia che oltrepassa il tentativo di muoversi a ridosso delle rotte pattugliate dagli americani, puntando su porti costruiti dagli operai cinesi ma non ancora conquistati dalla Marina pechinese.

    Per conquistare tale egemonia, la Repubblica Popolare dovrebbe innescare una spettacolare trasformazione culturale, indispensabile per realizzare una neo talassocrazia.

    Pertanto, citando Mao Zedong, Xi potrebbe concludere:

    “Grande è la confusione sotto il cielo. E quindi la situazione è eccellente”.

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