Il 2025 si configura per essere l’anno delle scelte decisive, anche per l’agricoltura. Al cambio di passo necessario a un settore strategico per il Paese, ma a corto di forze, sembra aprirsi un varco importante sul fronte europeo. Bruxelles tocca, finalmente, le corde degli agricoltori. La comunicazione Hansen sul futuro prende coraggio e spinge la tabella di marcia Ue oltre i diktat del Green Deal per riposizionare l’agricoltura al cuore della sostenibilità, cruciale per quella ambientale, tanto più per quella economica e sociale. Con le aree interne a fare da ago della bilancia, soprattutto quando si tratta dei Paesi Ue sul Mediterraneo.
Non sono spariti i detrattori, l’impresa politica, difficile, è tutta da costruire e il tema budget è una coperta sempre più corta. Eppure, dalla mia ultima trasferta a Bruxelles torno con la consapevolezza che, per sollecitazioni esterne, scacchiere geopolitico in bilico, e interne, comparto in protesta per produttività allo stremo, l’agricoltura abbia adesso, e sempre di più, una sola strada da prendere di fronte al suo bivio.
Non si può più tornare indietro, nuove regole di bilancio Ue e politiche di riduzione dei deficit, anche per l’Italia, sembrano imporre, oserei dire finalmente, che venga riconosciuto il giusto reddito a chi produce, alla vera agricoltura, ristabilendo il principio di equità e trasparenza. Questo Cia lo ha detto chiaramente in occasione della sua ultima Assemblea nazionale a Roma, per invitare le istituzioni tutte a un uso più mirato, efficace ed efficiente dei fondi, mettendo a fuoco gli ambiti su cui è prioritario intervenire perché fondamentali allo sviluppo del settore. Acqua, valore lungo la filiera, ricerca e innovazione, fauna selvatica, lavoro agricolo, futura Pac, politiche commerciali, i principali.
Le zone rurali, la costante su cui investire attraverso una strategia unica nazionale, ma anche europea agganciando, anche qui, le parole della Commissione Ue. Le ha definite “funzionali”, prendendosi così l’impegno di affrontare quel divario nella disponibilità e accessibilità dei servizi ai cittadini tra le cause più evidenti del progressivo abbandono. Cia insiste su questo punto. L’agricoltura è, a oggi, il vero collante sociale ed economico delle aree interne, genera lavoro e tiene in vita intere comunità, tutela il paesaggio e contrasta il dissesto idrogeologico, salvaguarda la biodiversità e assicura al Paese quelle produzioni agricole e agroalimentari che sono gli ingredienti fondamentali della Dieta Mediterranea, le eccellenze del Made in Italy nel mondo.
Un potenziale enorme per il Paese, e invece queste si giocano ancora sopravvivenza e attrattività su asset basilari come la rete infrastrutturale e dei servizi e una piena digitalizzazione. Insieme a politiche di sostegno all’abitabilità, a misure di fiscalità agevolata sul modello delle ZES, al riconoscimento dell’agricoltura familiare con norme specifiche e a un più facile accesso al credito; ammodernare il sistema che non tocca solo le strade, ma anche le scuole, i presidi sanitari, i luoghi di cultura, consentirebbe di innescare, tra l’altro, quel ricambio generazionale che è essenziale, oltre le esigenze del settore. L’abbandono dei territori marginali riguarda il 43% della popolazione mondiale, il 48,5% dei comuni italiani, dove vivono complessivamente 13 milioni di persone e l’agricoltura fa più della metà della Sau nazionale.
Non basta, dunque, una visione, servono fatti, azioni concrete che attendiamo dalle istituzioni italiane ed europee, oltre i proclami e le promesse scritte. In primis, Cia non intende barattare la dignità degli agricoltori. Chiediamo da troppo tempo la redistribuzione del reddito lungo la filiera, perché al comparto primario non restino le briciole e si rafforzi quel rapporto tra produttori e consumatori fondamentale per accrescere il peso decisionale dei due anelli della filiera e condividere un’operazione trasparenza rispetto alla reale formazione dei prezzi dal campo allo scaffale. Per Cia, si tratta di un tassello chiave per riprendere la strada dello sviluppo e nel corollario non può mancare il rispetto del principio di reciprocità negli accordi commerciali, sulla cui fragilità pesa sempre di più la questione dazi Usa e il dossier Mercosur.
Non si perda il focus sulla crisi idrica e si stringa sull’approvazione di una legge sul consumo di suolo, da anni ferma in Parlamento, altri due alert Cia che rilancia anche con la proposta di un Piano acqua comunitario contro alluvioni e siccità. Servono, ovviamente, incentivi a ricerca e innovazione per fronteggiare malattie e cambiamenti climatici.
La Pac, rispetto a tutto ciò, non può più essere un mondo a parte. Sono quattro, secondo Cia, le azioni necessarie per una vera riforma: prima di tutto l’aumento del budget, perché servono più risorse per la transizione verde e digitale; il recupero dell’inflazione e la gestione del rischio in agricoltura; poi, la canalizzazione delle risorse solo verso chi vive di agricoltura, niente più soldi alle rendite fondiarie. Occorre superare i titoli storici e aggiornare i criteri di assegnazione dei fondi. Terza, la semplificazione delle norme: non è più sostenibile l’accanimento burocratico su chi investe in agricoltura. Vanno ridotti i vincoli e snellito l’accesso ai fondi. Sulle aree interne anche la Pac deve fondi ad hoc a sostegno di chi presidia il territorio, recuperare e garantire i servizi, ampliare le attività connesse all’agricoltura.
Se l’Europa metterà a terra tutti i suoi buoni propositi, l’agricoltura potrà tornare davvero a essere attraente e autorevole. L’Italia non abbassi la guardia, Cia non lo farà.