Finalmente ci siamo. La raccolta firme partita quasi due anni fa a sostegno della proposta legislativa della Cisl per la partecipazione, è approdata a Montecitorio con un Ddl che si avvia a compiere il suo ultimo step. La nostra Federazione è stata protagonista di questa campagna per diversi motivi: anzitutto, perché la partecipazione attiva dei lavoratori alla vita delle imprese è nel nostro dna culturale e nei nostri valori fondativi, poi perché i tempi sono maturi per dare gambe a un principio costituzionale mai pienamente realizzato, quello che riconosce con l’art. 46 il diritto dei lavoratori di collaborare alla gestione delle aziende.
Una meta che lo strumento legislativo andrà a normare a supporto della contrattazione e di relazioni industriali e sindacali più evolute e strutturate, ma che certamente la nostra categoria già persegue da tempo, in forme diverse e con fortune alterne, attraverso molteplici strumenti. Penso ad alcune buone pratiche, come ad esempio l’ingresso del mondo agricolo, tramite Enpaia, nell’azionariato del Gruppo Granarolo: un percorso che dovrà servire anche a rafforzare il protagonismo dei lavoratori nelle dinamiche di questa importante realtà dell’agroalimentare italiano, garantendo anche il sostegno a scelte strategiche a favore degli investimenti in economia reale e puntando su una maggiore e migliore occupazione, sulla valorizzazione delle filiere, sullo sviluppo sostenibile.
Sarà importante moltiplicare operazioni di questo tipo nell’ottica di un rafforzamento della partecipazione dei lavoratori e della democrazia economica. Il traguardo della proposta legislativa segna un passaggio epocale, se pensiamo che in passato nessuna legge dedicata a questo tema è riuscita ad arrivare alla discussione in Parlamento, nonostante negli anni ne siano state presentate oltre venti. Ma non si tratta di un punto di arrivo, bensì dell’inaugurazione di un nuovo percorso, maturato dalle esperienze costruite attraverso la buona contrattazione, per favorire tutte le forme della partecipazione: gestionale, economico-finanziaria, organizzativa, consultiva. Né si tratta di una norma che andrà a imporre azioni di competenza delle parti sociali: si andrà a promuovere la contrattazione con l’obiettivo sia di consentire, anche alle imprese non sindacalizzate, di conoscere a fondo i vantaggi della partecipazione, tanto per i lavoratori quanto per le aziende, sia di accompagnare le scelte partecipative con incentivi fiscali e contributivi.
Va sottolineato infatti che sono stati stanziati incentivi economici, rendendo disponibili 70 milioni, per premiare le aziende che accetteranno modelli partecipativi, così come è garantita la formazione per i dipendenti coinvolti, inoltre non è stata operata nessuna discriminazione tra aziende pubbliche o private e la legge varrà per tutte le imprese, indipendentemente dal settore, dalla natura giuridica, dalla dimensione. E nel percorso parlamentare sono stati maggiormente coinvolti anche gli enti bilaterali, i fondi interprofessionali e il Fondo Nuove Competenze per diffondere la partecipazione nelle piccole e medie imprese.
In diversi Paesi conosciamo già diverse forme avanzate di co-gestione e partecipazione, mentre in Italia mancava finora uno strumento legislativo di supporto, che rendesse più strutturali, coerenti e continue le buone pratiche diffuse a più livelli, in alcuni casi anche sperimentando nuove forme di democrazia economica, ad esempio con la partecipazione diretta o indiretta dei dipendenti all’azionariato.
Ora c’è da scommettere che anche il settore agricolo e in generale l’agroalimentare made in Italy siano pronti per questa sfida epocale. Nonostante le difficoltà e le preoccupazioni del momento. Anzi: proprio di fronte ai tanti impegni che il settore si appresta ad affrontare, tra rischio dazi, caro energia, casi di sfruttamento e lavoro nero, riforma della Pac, criticità del mercato del lavoro, accordi commerciali internazionali, il rafforzamento delle dinamiche partecipative non potrà che fare bene a lavoratori e imprese.
Siamo certi di poter costruire, anche con Flai e Uila e con le controparti, percorsi virtuosi che nel tempo si dimostreranno positivi nell’ottica della buona contrattazione, di un sistema previdenziale più solido ed equilibrato, di un welfare più sostenibile e partecipato, di una bilateralità più avanzata e funzionale. Lo dobbiamo soprattutto al milione di lavoratori e lavoratrici che in questi anni hanno contribuito a rendere primo in Europa il valore aggiunto dell’agricoltura italiana e a consolidare un settore agroalimentare che, dal campo alla tavola, rappresenta oramai oltre il 15% del Pil nazionale. E lo dobbiamo in generale al Paese, che merita di avere relazioni industriali e sindacali più evolute per giocare un ruolo di primo piano in un’Europa che sia davvero più sociale, coesa e competitiva.