di Michele De Marinis, Dottorando di ricerca in Diritto Civile presso l’Università degli Studi di Firenze e Cultore in “Diritto Agrario” presso l’Università degli Studi del Molise
Il decreto legislativo n. 198/2021, in attuazione della direttiva europea n. 633/2019, ha il fine di disciplinare le pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera agricola e alimentare; l’ambizioso obiettivo, di matrice europea e recepito dal Legislatore nostrano, è quello di riscrivere e rideterminare le relazioni commerciali che interessano il settore agroalimentare. In particolare, attraverso l’indicazione diretta delle pratiche commerciali vietate, il Legislatore mira alla tutela dei soggetti operanti nell’ambito della filiera agricola, altrimenti pregiudicati nelle medesime relazioni commerciali.
Occorre precisare, in via preliminare, precisare che il d.lgs. 198/2021, all’ 1, comma 3, chiarisce testualmente che esso non si applichi “ai contratti di cessione direttamente conclusi tra fornitori e consumatori”; trattandosi, infatti, di una disciplina riservata ai rapporti tra imprese della filiera agroalimentare, ne consegue l’esclusione automatica di tutti i contratti conclusi, invece, con i consumatori.
Il Decreto 198/2021 si applica, quindi, ai rapporti c.c.d.d. B2B (business to business, ossia lo scambio commerciale di prodotti o servizi tra aziende), relativi alle cessioni di prodotti agricoli ed alimentari eseguite da fornitori stabiliti in Italia, ovvero produttori agricoli o persone fisiche o giuridiche che vendono tali prodotti. Ciò è previsto, peraltro, indipendentemente dal dato puramente economico del fatturato dei fornitori e degli acquirenti.
I contratti interessati dal Decreto Legislativo 198/2021 in oggetto e le relazioni commerciali che ne derivano devono essere fortemente improntati ai principi di correttezza, trasparenza, proporzionalità e reciproca corrispettività delle prestazioni.
In particolare, l’articolo 3 del sopra citato d.lgs. n. 198/2021, ha ad oggetto i contratti di cessione di prodotti agricoli o agroalimentari e stabilisce che gli stessi debbano essere stipulati, a pena di nullità, in forma scritta. A tal proposito, il legislatore ha previsto forme equipollenti di conclusione dei contratti di cessione di cui sopra, considerando ugualmente sufficiente, ai fini della validità dell’operazione, anche il documento di consegna ovvero l’ordine d’acquisto ovvero, in ultimo, la fattura di vendita; ciò che è essenziale è che dal documento derivi inconfutabilmente la durata dell’operazione, le quantità e le caratteristiche dei prodotti venduti, il prezzo, nonché le modalità di consegna e di pagamento. Per quel che riguarda la durata dell’operazione, il decreto ha previsto che i contratti di prodotti agricoli o alimentari non possano avere una durata inferiore a dodici mesi, salva la presenza di una motivata deroga; si pensi emblematicamente alla stagionalità dei beni oggetto di cessione; ad esempio, i prodotti ortofrutticoli. Un aspetto peculiare del decreto da esaminare, è la previsione di una c.d. black list, ossia un elenco di pratiche commerciali che sono sempre considerate sleali e di conseguenza vietate. Si richiamano, a titolo esemplificativo, l’applicazione di termini di pagamento di oltre 30 giorni per i prodotti deperibili e oltre 60 giorni per gli altri prodotti agricoli e alimentari; la vendita di prodotti agricoli e alimentari a condizioni contrattuali eccessivamente gravose, ivi compresa la vendita a prezzi manifestamente inferiori ai costi di produzione. Sempre con riferimento ai termini, è considerata pratica sleale l’annullamento di ordini di prodotti agricoli e alimentari, se deperibili, con un preavviso inferiore a 30 giorni e, se non deperibili, con un preavviso inferiore a 60 giorni.
Sono, altresì, vietate le modifiche unilaterali delle condizioni relative alla frequenza, al metodo, al luogo, ai tempi o al volume della fornitura o della consegna dei prodotti, alle norme di qualità, ai termini di pagamento o ai prezzi oppure relative alla prestazione di servizi accessori; a tal proposito, ed anche nell’ottica di proteggere il gioco concorrenziale ed evitare distorsioni del mercato, il d.lgs. n. 198/2021 stila un “elenco grigio” delle operazioni e le pratiche commerciali tecnicamente sleali, ma che sono da considerarsi perfettamente valide e legittime, a condizione che siano preventivamente concordate ed accettate dalle parti in modo chiaro e univoco.
Nella c.d. grey list si rinvengono, ad esempio, le clausole che prevedano per l’acquirente la possibilità di restituire al fornitore i prodotti agricoli ed alimentari rimasti invenduti, senza corrispondere alcun pagamento per tali prodotti invenduti e/o per il loro smaltimento; si rinvengono, altresì, le clausole che prevedono per il fornitore un pagamento ulteriore come condizione per l’immagazzinamento, l’esposizione, l’inserimento in listino o la messa in commercio dei suoi prodotti.
Citerei anche l’art. 5 che richiama altre condotte scorrette, tra cui figurano le aste a ribasso. Poi non ha parlato delle buone pratiche commerciali (art.6) e delle vendite sottocosto (art.7). Sul versante delle sanzioni il Decreto Legislativo 198/2021 prevede fino che esse possano arrivare fino al 10% del fatturato realizzato dal trasgressore, sia esso acquirente o fornitore, nell’ultimo esercizio precedente all’accertamento; il limite massimo del 10% può essere applicato solo in alcuni casi (ad esempio, in caso di accertata prosecuzione di alcune violazioni o di reiterazione della stessa violazione durante lo stesso anno). L’ autorità di contrasto competente a tal proposito, ed indicata dal Decreto 198/2021, è l’Ispettorato Centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari (ICQRF), che ha il potere di dare attuazione alle disposizioni del Decreto 198/2021, d’ufficio o su denuncia. È, tuttavia, sempre concessa la possibilità di ricorrere a procedure di mediazione ovvero a meccanismi di risoluzione alternativa delle controversie.
Il dato inconfutabile è il seguente: il d.lgs. n. 198/2021 ha la forza imperante di vietare, pena le sanzioni di cui sopra, attività commerciali estremamente dannose per gli operatori del settore, come l’applicazione di condizioni gravose o discriminatorie oppure i trasferimenti ingiustificati del rischio di impresa; come anche le date di scadenza dei prodotti troppo brevi ovvero l’imposizione all’acquirente, da parte del fornitore, di posizioni privilegiate di determinati prodotti nello scaffale o nell’esercizio commerciale.
Per quanto qui brevemente evidenziato, il decreto in esame può risultare un utile strumento di repressione di pratiche sleali ed anti concorrenziali, essenziale per il funzionamento equo e sostenibile del mercato agroalimentare.