di Cesare Mirabelli, Presidente emerito della Corte costituzionale
Di solito non viene dedicata adeguata attenzione ad alcuni elementi, meno evidenti e tuttavia essenziali, che hanno caratterizzato la nascita e il funzionamento delle Comunità europee (Cee) e caratterizzano ora l’Unione europea (Ue), quale evoluzione, estensione e sviluppo di quella originaria organizzazione sovranazionale. Il suo funzionamento presuppone l’integrazione tra ordinamento comunitario e ordinamento degli Stati membri, con modalità che non richiedono l’uso dei tradizionali strumenti internazionalistici del recepimento, per l’esecuzione all’interno di ciascuno Stato, delle norme emanate o convenute nell’ordinamento sovranazionale. L’efficacia diretta del diritto comunitario in tutti gli Stati membri, senza necessità di ratifica ed esecuzione da parte dei singoli Stati, è un forte elemento di coesione e garantisce la necessaria uniformità di disciplina.
Il presupposto di questo meccanismo, che incide sulla sovranità degli Stati e la limita, è costituito dall’attribuzione della competenza devoluta dagli stessi Stati all’organizzazione sovranazionale, in forza dei Trattati istitutivi della Cee prima e successivamente dell’Ue. Non opera il tradizionale criterio della gerarchia tra le fonti normative e della superiorità dell’una sull’altra, ma opera quello della competenza, statale o comunitaria, nella materia che viene disciplinata. Ne deriva, in concreto, che norme statali che invadono materie attribuite alla competenza comunitaria devono essere disapplicate, rimanendo così inutilmente scritte sulla carta.
Questo sistema è presidiato e rafforzato dalla funzione attribuita alla Corte di Giustizia dell’Ue di interpretare il diritto comunitario, anche a richiesta di qualsiasi giudice nazionale che, essendo tenuto ad applicarne le norme, debba valutare l’estensione di quella disciplina e verificare la compatibilità di norme nazionali con il diritto comunitario, destinato a prevalere.
È evidente che la uniforme interpretazione e applicazione del diritto comunitario in tutti gli Stati membri è essenziale per la stessa esistenza dell’Ue, che non tollera la diversificazione di vincoli che risulterebbe dalla multiforme possibilità di interpretazione da parte dei giudici nazionali. Rimane sullo sfondo un margine di possibile conflitto, reso palese dalla posizione assunta dal Tribunale costituzionale tedesco, per il quale permarrebbe in capo al giudice nazionale la possibilità di verifica, per così dire esterna, dei “confini” posti dai Trattati all’attribuzione di materie all’ordinamento comunitario. Questo indirizzo interpretativo, che tuttavia non è stato portato fino alle ultime conseguenze, finirebbe per colpire profondamente la visione necessariamente unitaria di quanto attribuito alle competenze dell’Ue.
È da aggiungere che alcune Costituzioni, come la nostra (si veda l’art. 11), non hanno solamente gettato le basi per la creazione di un ordinamento sovranazionale, prefigurando e consentendo limitazioni della sovranità del nostro Stato a condizioni di parità con gli altri Stati e con la finalità di assicurare la pace e la giustizia tra le Nazioni. La Costituzione ha anche stabilito l’obbligo per il legislatore di rispettare i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario (art. 117); vincoli che risultano quindi ulteriormente rafforzati rispetto alla diretta disapplicazione delle norme statali con essi contrastanti, divenendo le norme comunitarie anche parametro di valutazione, da parte della Corte costituzionale, della legittimità costituzionale delle leggi.
Ricordare questi semplici e consolidati elementi che caratterizzano i rapporti tra diritto comunitario e diritto statale indica come l’esperienza fatta segni il passaggio da una visione fondata sulla esclusiva sovranità dello Stato a una impostazione pluralistica, che implica la coesistenza di più ordinamenti complementari, le cui norme si integrano. Ne derivano una maggiore complessità nell’articolazione delle fonti normative e qualche difficoltà nella determinazione del diritto da applicare, con la conseguente possibilità di disallineamenti o conflitti tra la disciplina dettata dai diversi ordinamenti.
Non di rado è stata segnalata criticamente una tendenza all’espansione del diritto comunitario, considerata intrusiva in competenze statali o inutilmente caratterizzata da una regolamentazione di eccessivo dettaglio. I Trattati fissano, quale criterio per determinare e delimitare le competenze comunitarie, il principio di attribuzione, per il quale l’Ue agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dai Trattati per raggiungere gli obiettivi da questi stabiliti, restando salva in ogni altro caso la competenza degli Stati membri (art. 5.2 dei Trattati sull’Unione Europea). Dunque un doppio limite per la competenza normativa comunitaria: di materia e funzionale. È evidente che quest’ultimo elemento consente un elevato margine di discrezionalità.
Nei settori che non sono attribuiti alla competenza esclusiva dell’Ue operano i princìpi di sussidiarietà e proporzionalità, per i quali l’Ue interviene «soltanto se e in quanto gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell’azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione» (art. 5.3 dei Trattati sull’Unione Europea). L’attribuzione e l’esercizio della competenza comunitaria sono ancorati a formule elastiche, che ancora una volta lasciano ampi margini di discrezionalità, il cui esercizio richiede un atteggiamento prudente nell’attività normativa dell’Ue, e la cui verifica esalta il ruolo interpretativo e valutativo della Corte di Giustizia.
In questo contesto è evidente l’importanza del corretto ed efficace funzionamento delle istituzioni comunitarie, non solamente nella loro attività di gestione e operativa, ma anche e soprattutto nelle modalità con le quali vengono assunte decisioni politiche e nell’attività di produzione normativa, esercitata mediante regolamenti, di immediata applicazione, e più flessibili direttive, il cui quadro gli Stati possono declinare e integrare con proprie norme. Un insieme complesso, che coinvolge la stessa struttura istituzionale dell’Ue, difficilmente suscettibile di revisione senza che si affermi una nuova e comune volontà costituente. Tuttavia, potrebbe avere più agevole percorso qualche limitata e significativa modifica dei Trattati, che assicuri tempestività ed efficienza nell’adozione delle decisioni comunitarie, snellendo i rapporti tra Commissione, Consiglio e Parlamento, e inoltre superi le materie nelle quali le misure da adottare richiedono l’unanimità degli Stati membri. Questo meccanismo, anziché muovere verso una piena applicazione del principio democratico posto a fondamento delle istituzioni comunitarie e basato sul criterio della maggioranza, accentua piuttosto la concezione di un’organizzazione tra Stati, nella quale alla formazione di una volontà comune viene preferita, in determinate materie, la salvaguardia degli interessi di ciascuno di essi, riconosciuto sostanzialmente titolare di un diritto di veto o di una facoltà di riserva; quasi prefigurando atti collettivi, e non atti collegiali, con effetti la cui criticità si accresce con l’aumentare del numero di Stati membri.
Una via per la riconduzione a equilibrio potrebbe essere percorsa mediante meccanismi procedurali, che agevolino, anche nei tempi o nell’iterazione delle valutazioni, il possibile raggiungimento di una generale convergenza, e in definitiva abbandonando il criterio dell’unanimità per estendere quello, già previsto per altre materie, della doppia maggioranza qualificata: degli Stati membri e della popolazione che essi rappresentano.
Sarebbe da auspicare l’affermazione di una visione più ampia che, in una prospettiva temporale definita, rafforzi e consolidi sul piano istituzionale i valori fondanti dell’Europa, quali già risultano dalla proclamazione nel preambolo e sono affermati nelle disposizioni dei Trattati costitutivi dell’Ue, per dar vita a un modello federale, nel quale l’integrazione e l’espressione di una sovranità europea multinazionale superi lo schema e i limiti del rapporto tra Stati partecipi di una sia pur singolare organizzazione internazionale. Tuttavia, questo sarebbe un obiettivo politico che trascende le presenti considerazioni.