di Onofrio Rota, Segretario Generale Fai-Cisl
Sul fatto che l’agroalimentare sia un settore strategico del Paese in termini di ricchezza prodotta e sicurezza alimentare, non ci sono dubbi. Anche la pandemia, e oggi la crisi internazionale indotta dall’aggressione militare russa contro il popolo ucraino, hanno fatto emergere in maniera ancora più netta questo aspetto, sul quale tutta la politica e l’intera classe dirigente e imprenditoriale farebbero bene a concentrarsi in maniera più coerente e determinata. Tuttavia, per il comparto esistono ancora ampi margini di crescita e sviluppo anche in termini di attrazione turistica, industria culturale e transizione ecologica. Esiste infatti una tipica multifunzionalità nel settore primario che consente di creare un indotto formidabile in qualità di leva del turismo enogastronomico, della promozione del patrimonio artistico, paesaggistico e culturale, dell’economia della montagna e delle aree interne, degli oltre 8 mila km di costa che caratterizzano il Belpaese.
Per valorizzare questa multifunzionalità, però, la prima mossa da compiere passa per il lavoro. Bisogna dare pieno riconoscimento – economico e contrattuale, sociale e culturale – a quelle che dovremmo chiamare con orgoglio le nostre “tute verdi”: le lavoratrici e i lavoratori agricoli, gli operai forestali, gli addetti dei consorzi di bonifica, pescatori e allevatori, tutte categorie protagoniste quotidiane della sfida per la sostenibilità ambientale e il recupero dei territori in via di spopolamento. È questa l’unica via possibile per evitare da un lato l’abbandono delle aree interne e rurali e, dall’altro, un rilancio dei territori che anziché creare lavoro e comunità passi per pericolosi processi di centrifugazione, con lo sradicamento delle comunità locali e lo smarrimento della loro ricchezza socioculturale a discapito di un profitto economico riservato a pochi.
Queste categorie di lavoratori, come sosteniamo da tempo con la nostra campagna “Fai bella l’Italia”, e come abbiamo voluto confermare con la nostra adesione immediata al Manifesto di Assisi, nel 2020, sono protagoniste di un nuovo rapporto tra persona e ambiente. Non si tratta di una visione aulica, astratta, romantica, del lavoro e dell’economia, ma al contrario di un’idea ben precisa di persona e società che come Fai-Cisl vogliamo promuovere a tutti i livelli.
È una visione che a ben vedere è radicata nel nostro Dna culturale, in quell’umanesimo che caratterizza tanti aspetti del nostro tessuto produttivo e che a nostro parere deve essere declinato oggi in un vero e proprio “umanesimo del lavoro”, luogo di incontro tra l’emancipazione della persona, la coesione, e la sostenibilità ambientale, economica e sociale.
È importante che l’intera classe dirigente si dimostri all’altezza del nostro enorme patrimonio agroalimentare, paesaggistico, artistico, culturale, che è anzitutto bellezza nel senso più profondo del termine. Si tratta di quella bellezza vera, autentica, universale che, per il teologo Vito Mancuso, si trasmette anche tramite la natura: <<La natura – afferma Mancuso nel suo saggio “La via della bellezza” – per quanto possa risultare nociva per l’esistenza degli esseri umani, non è mai ambigua dal punto di vista estetico: la sua ambiguità riguarda il suo essere buona, mai il suo essere bella>>. Spetta a tutti noi fare in modo che la natura si riveli, oltre che bella, anche buona, capace di garantire il cibo a tutto il pianeta, impattare sempre meno sulla salute del pianeta, e offrire maggiori opportunità di lavoro ben retribuito e contrattualizzato. Non dobbiamo dimenticare mai, infatti, che la bellezza è frutto anche e soprattutto del lavoro umano, di un saper fare che intere comunità hanno saputo trasmettere di generazione in generazione e che deve continuamente sapersi reinventare valorizzando l’innovazione tecnologica e il ruolo delle parti sociali. Solo così possiamo arginare la bruttezza. Bruttezza che ovviamente non è soltanto estetica, ma etica, sociale, ambientale. Pensiamo agli incidenti sul lavoro, alla precarietà, alla mancanza di formazione professionale, agli incendi, o all’esistenza delle baraccopoli, dove ancora oggi migliaia di migranti – oltre 10 mila braccianti, secondo Ministero del Lavoro e Anci, in almeno 150 insediamenti – vivono tra lavoro nero, caporalato e illegalità. È una bruttezza che stride con la nostra idea di lavoro e di civiltà. Per questo vogliamo cancellarla impegnando il prossimo Governo e tutte le forze politiche a intraprendere una nuova governance del lavoro agricolo e dell’immigrazione. La nostra stessa petizione on line “Mai più ghetti”, che può essere sostenuta in pochi semplici passaggi sulla piattaforma change.org, ha raggiunto velocemente le 20 mila adesioni ed è destinata evidentemente a crescere ancora.
Perché al centro di ogni progresso, non dobbiamo mai dimenticarlo, c’è sempre la persona. Per questo sarà fondamentale investire sul capitale umano, e come sindacato dei lavoratori siamo pronti a fare la nostra parte, anche per colmare le tante lacune del sistema pubblico e delle politiche sia nazionali che regionali. C’è da scommettere che dentro questa sfida continuerà a giocare un ruolo fondamentale anche l’Enpaia, simbolo virtuoso di una bilateralità e una sussidiarietà che nel settore primario esprimono da decenni una funzione preziosa e insostituibile. Ci auguriamo davvero che la politica sappia valorizzare le relazioni industriali e il ruolo dei corpi intermedi, favorendo il confronto per approdare verso quelle riforme responsabili, innovative, partecipate, di cui ha bisogno il nostro Paese.